— Questo lo so molto bene — disse lui, — ma non posso permettere che tu lo dimentichi. Non è qualcosa che scomparirà.
Mi girai sulla schiena e sollevai lo sguardo verso di lui. C'era un debole sorriso sul suo viso, mentre sfiorava con le dita le mie labbra e i miei capelli, ma i suoi occhi erano preoccupati. Cathay non è più in grado di nascondermi molte cose.
— Deve capitare — sottolineò lui, senza pietà. — Per le ragioni che mi hai sentito spiegare alla donna. Mi sono impegnato a tornare all'età di sette anni. C'è un'altra bambina che mi aspetta. Ti assomiglia molto.
— Non farlo — dissi io sentendomi infelice. Cathay mi asciugò una lacrima dagli occhi.
Gli ero grato perché non mi faceva notare quanto fossi ingiusto. Lo sapevamo entrambi. Lui lo accettava, e continuava come meglio poteva.
— Ti ricordi il nostro discorso sul sesso? Penso che fosse circa due anni fa. Non molto dopo che mi hai detto per la prima volta che mi amavi.
— Ricordo. Ricordo tutto.
Lui mi baciò. — Ma io devo riparlarne lo stesso. Forse servirà. Tu sai che eravamo d'accordo che non avrebbe avuto alcuna importanza di che sesso fossimo. Poi ti feci notare che tu saresti cresciuto, mentre io sarei ritornato ragazzino. Che sessualmente ci saremmo divisi.
Io annuii, sapendo che il nostro amore era molto più profondo di quelle differenze. Che non avevamo bisogno del sesso per farlo funzionare. Può funzionare.
Questo era vero. Cathay era vicino a tutti i suoi vecchi studenti. Essi erano adulti ora, ma venivano spesso a trovarlo. Solo per il piacere di stare vicini, di parlare e di abbracciarsi. Più avanti c'entrava anche il sesso, ma tutti loro capivano che presto sarebbe finito.
— Non penso di avere questa prospettiva — dissi cauto. — Loro sanno che in pochi anni maturerai ancora. Lo so anch'io, ma ho lo stesso la sensazione...
— Che sensazione?
— La sensazione che tu mi abbandonerai. Mi spiace, è questo che sento.
Lui sospirò e mi attirò a sé. Mi strinse forte per un po' e fu molto bello.
— Ascolta — disse alla fine, — credo che non ci sia modo di evitarlo. Potrei dirti che lo supererai, e sarà così, ma non ti servirebbe a niente. Ho avuto questo stesso problema con ogni bambino a cui ho insegnato.
— Davvero? — Questo non lo sapevo, e mi fece sentire un po' meglio.
— Davvero. Non ti biasimo per questo. Ho anch'io la stessa sensazione. Sento qualcosa che mi spinge a stare con te. Ma non funzionerebbe, Argus. Io amo il mio lavoro, altrimenti non lo farei. Ci sono momenti duri, come questo. Ma dopo pochi mesi ti sentirai meglio.
— Forse. — Non ne ero per niente sicuro, ma mi sembrava importante essere d'accordo con lui e far cessare quella conversazione.
— Nel frattempo — disse lui, — abbiamo ancora qualche settimana da trascorrere insieme. Penso che dovremmo sfruttarle il più possibile. — E lo fece, con le sue mani che esploravano il mio corpo. Prese lui l'iniziativa, cercando di farmi rilassare e di ridarmi fiducia.
Così incrociai le mani dietro la testa e mi sdraiai, cercando di non pensare a niente se non al cerchio caldo delle sue labbra.
Ma poi cominciai a sentire che dovevo fare qualcosa per lui e capii cosa c'era di sbagliato. Lui pensava di offrirmi tutto ciò che desideravo facendo l'amore con me nel modo in cui l'avevamo sempre fatto da quando avevamo cominciato ad essere grandi. Ma c'era anche un altro modo, e mi resi conto che non volevo che lui rimanesse all'età di tredici anni. Ciò che davvero desideravo era di tornare indietro con lui, di avere ancora sette anni.
Gli sfiorai delicatamente il capo e lui alzò gli occhi, poi ci abbracciammo. Cominciammo a muoverci l'uno contro l'altro come sempre facevamo sin da quando ci eravamo incontrati la prima volta, quello sfregamento innocente ed inconsapevole di un'età in cui non è tanto il sesso a dominare quanto una sensazione profonda di benessere.
Ma il corpo è esigente e non può essere ingannato. Presto i nostri movimenti divennero frenetici, e poi una sensazione di bagnato fra di noi mi rivelò con assoluta certezza che non avremmo mai potuto tornare indietro.
Tornando a casa, vidi intorno a me tutti i segni del cambiamento.
Cominci a crescere, le gambe e le braccia si allungano nella tua tuta a pressione finché non devi per forza comperarne una nuova. La gente smette di pensare a te come ad un bambino grazioso e comincia a considerarti un giovanotto simpatico. Sempre con quel sorriso, come se fosse uno scherzo che tu non devi capire.
La gente ti tratta in modo diverso, quando cresci. Da principio non hai praticamente nessun contatto con gli adulti, tranne che con tua madre o le madri dei tuoi amici. Vivi in un mondo di bambini, e gli adulti non rappresentano neppure un ostacolo perché si levano subito dalla tua strada quando corri lungo i corridoi. Puoi entrare gratis in un sacco di posti; la gente ti vuole intorno per rimanere allegra, perché i bambini sono così pochi e tutti vorrebbero averne più di uno. E neppure ti accorgi che la gente continua a sorriderti.
Ma quando hai tredici anni non è più così. Ora c'era quell'esitazione, appena una frazione di secondo, prima che mi accordassero i privilegi di un bambino. Non che io biasimi nessuno. Ero alto quasi quanto la maggior parte degli adulti che mi capitava di incontrare.
Ma adesso avevo cominciato ad accorgermi degli adulti, a notarli. Soprattutto quando non sapevano di essere osservati. Vidi che molti di loro erano spesso corrucciati. Talvolta, vedevo qualche segno di dolore sui loro volti. Ma poi mi guardavano e sorridevano. Sapevo che non sarebbe continuato per sempre. Prima o poi avrei valicato una linea invisibile e allora il dolore sarebbe rimasto su quei visi, e io avrei dovuto cercare di capirlo. Sarei diventato adulto e non ero sicuro di volerlo essere.
Fu a causa di questa mia nuova preoccupazione per i volti che mi capitò di notare la donna seduta dirimpetto a me sul treno per Archimede. Volevo diventare scrittore, così tendevo a vedere tutto in termini di storie e personaggi. La osservai e cercai di inventare una storia su di lei.
Era attraente; apparentemente sui venticinque anni, capelli neri lisci e pelle abbronzata, un viso rotondo senza un'elaborata chirurgia o tratti salienti, tranne i profondi occhi castani.
Indossava un abito semplice sopra il ginocchio, di un sottile tessuto bianco sul quale sembravano scorrere mille rivoli d'acqua ogni volta che lei li muoveva. Aveva un gomito appoggiato sullo schienale del sedile e si mordeva una nocca con espressione assente mentre guardava fuori dal finestrino.
Sembrava che non ci fosse una storia sul suo viso. Era in un momento di abbandono, ma non vidi dolore, grosse preoccupazioni o paure. È possibile che non me ne sia accorto. Ero nuovo del gioco, e non ne sapevo molto di quello che era importante per gli adulti.
Poi si voltò a guardarmi, e non sorrise.
Voglio dire, lei sorrise, ma quel sorriso non diceva: com'è grazioso. Era il tipo di sorriso che mi fece desiderare di aver indossato dei vestiti. Da quando avevo imparato cos'era un'erezione, non desideravo più averle nei luoghi pubblici.
Accavallai le gambe. Lei si alzò e venne a sedersi accanto a me. Sollevò il palmo e io lo sfiorai. Mi guardava tenendo una gamba ripiegata sotto di sé e un braccio lungo lo schienale dietro di me.
— Sono Trilby — disse.
— Salve. Io sono Argus — mi accorsi che il tono della mia voce si era abbassato.
— Ero seduta là ad osservarti mentre mi guardavi.
— Davvero?
— Certo, attraverso il vetro — spiegò lei.
— Oh. — Mi voltai, ed effettivamente da dove era seduta prima poteva sembrare che guardasse il paesaggio mentre in realtà stava studiando il mio riflesso. — Non volevo essere scortese.
Lei rise e mi appoggiò una mano sulla spalla, muovendola delicatamente. — E io allora? — disse. — Io lo facevo di nascosto, tu no. In ogni caso, non ti agitare. Non importa. — Cambiai posizione e lei abbassò lo sguardo. — E non preoccuparti nemmeno per quello. Capita.
Mi sentivo ancora nervoso, ma lei riuscì a mettermi a mio agio. Parlammo per il resto del viaggio e non mi ricordo assolutamente di che cosa. Gli argomenti non dovettero spaziare molto, perché sono sicuro che non fece mai riferimento alla mia età, alla mia educazione o alla sua professione, o anche solo alla ragione che l'aveva spinta ad iniziare una conversazione in treno con un ragazzo di tredici anni.
Ma niente aveva importanza. Mi sarebbe piaciuto parlare di qualsiasi cosa. Se riflettevo sulle sue intenzioni, davo per scontato che fosse sui vent'anni e quindi ancora vicina alla sua infanzia.
— Hai fretta? — chiese ad un certo punto, scuotendo leggermente il capo.
— Io? No, sto andando a trovare... — (no, non tua madre), — un'amica. Può aspettare. Sa quando arrivo. — Così suonava meglio.
— Posso offrirti da bere? — Un sopracciglio leggermente sollevato, un semplice movimento della mano. I suoi gesti erano contenuti, ma sembravano esprimere molto di più delle parole. Mentalmente, aumentai di qualche anno la sua età. Anzi, di parecchi.
In quel momento il treno arrivò ad Archimede; ci alzammo e accettai senza esitazione.
— Bene. Conosco un posto carino.
Il barista mi rivolse il tipico sorriso e stava per servirmi il solito bicchiere gratis, il primo dei due che mi spettavano, ma Trilby cambiò il programma.
— Due whisky irlandesi, per favore. Con ghiaccio. — Lo disse con decisione, alzando un poco il tono della sua voce, e tra lei e il barista accadde qualcosa di indecifrabile. Lei gli rivolse uno sguardo, le sopracciglia dell'uomo si sollevarono improvvisamente, mi lanciò un'occhiata e sembrò capire qualche cosa. Il suo atteggiamento verso di me cambiò completamente.
Ebbi la sensazione che fosse successo qualcosa a mia insaputa, ma non avevo tempo di preoccuparmi. Non avevo mai tempo di preoccuparmi quando ero con Trilby. Arrivarono i whisky e noi li sorseggiammo.
— Mi domando perché continuino a chiamarlo irlandese — disse lei.
Ci lanciammo in una discussione sugli Invasori, o sull'Irlanda o sulla Terra Occupata. Non ne sono sicuro. Era poco importante: la conversazione vera si svolgeva tra i nostri occhi. Era soprattutto lei a comunicarmi sensazioni senza bisogno di parole e io mi limitavo ad annuire con la lingua penzoloni.
Finimmo ai bagni pubblici in fondo al corridoio. I suoi capezzoli avevano la forma di piccoli cuori rosa. A parte quello, il suo corpo non aveva niente di notevole, anche se era meravigliosamente sodo e morbido. Era così diversa da Trigger, Denver e Cathay. Così diversa da me. Osservai le differenze mentre ero seduto dietro di lei nella grande piscina e le massaggiavo la schiena insaponata.
Mentre ci dirigevamo al solarium, lei si fermò davanti ad una delle alcove private e mi guardò, rimanendo in attesa. Le mie gambe mi condussero nell'alcova e lei mi seguì. Le mie mani si strinsero attorno al suo corpo e la mia bocca si aprì quando lei mi baciò. Mi adagiò sul pavimento morbido e mi prese.
Che cosa lo rendeva diverso?
Ci pensai durante la lunga camminata dal capolinea della monorotaia a casa. Trilby e io avevamo fatto l'amore per circa un'ora. Nulla di particolarmente elaborato, niente che non avessi già provato con Trigger e Denver. Avevo pensato che lei avesse qualche nuovo fantastico giochetto da mostrarmi, ma non era stato così.
Eppure lei non era stata come Trigger o Denver. Il suo corpo rispondeva in maniera diversa, aveva movenze a cui non ero abituato. Io feci dei mio meglio. Quando la lasciai, sapevo che era felice, ma sentivo che si era aspettata qualcosa di più.
Scoprii che mi sarebbe piaciuto darle di più.
Ero di nuovo innamorato.
Con la mano sulla piastra della porta, ebbi all'improvviso la certezza che lei mi avesse già dimenticato. Era sciocco supporre che non fosse così. Io ero stato una piacevole diversione, una novità interessante.
Non le avevo chiesto il nome, l'indirizzo o il numero di telefono. Perché no? Forse perché già sapevo che non le sarebbe importato vedermi di nuovo.
Schiacciai la piastra col palmo della mano e rimuginai durante la salita in ascensore verso la superficie.
La mia è una casa insolita. Naturalmente appartiene a Darcy, mia madre. Lei era impegnata a dare gli ultimi ritocchi ad un diorama. Alzò lo sguardo verso di me, sorrise e mi offrì la guancia perché la baciassi.
— Avrò finito tra un momento — disse. — Voglio completarlo finché c'è luce.
Noi viviamo in una grande bolla sulla superficie. Una parte è divisa in stanze senza soffitto, ma la maggior parte costituisce lo studio di Darcy. La bolla è trasparente. È schermata contro i raggi ultravioletti, per evitare le bruciature.
È un modo non comune di vivere, ma ci troviamo bene. Dalla nostra posizione privilegiata all'estremità sud della valle, si vedono solo altre tre bolle simili. Sarebbe impossibile per uno straniero immaginare che appena sotto la superficie sorge un'affollata città.
Crescendo, non ho mai pensato all'agorafobia, ma è una cosa comune tra i Lunariani. Mi dispiace per quelli che non hanno la fortuna di crescere con un tale panorama.
A Darcy piace per la luce. Lei è un'artista, ed è esigente in fatto di luci. Lavora due settimane sì e due no, riposando durante la notte. Io sono cresciuto con questi ritmi, lasciandola sola quando si lanciava in interminabili sessioni con i suoi pennelli ad aria, e tornando a casa per trascorrere due settimane con lei quando non brillava il sole.
Le cose cominciarono a cambiare dopo che ebbi compiuto dieci anni. Prima di allora eravamo vissuti soli, e Darcy aveva drasticamente ridotto i suoi ritmi di lavoro, fino a quando non ebbi compiuto i quattro anni, aumentandoli gradatamente a mano a mano che cominciavo a rendermi sempre più indipendente. Lo fece per potermi dedicare tutto il suo tempo. Poi un giorno mi fece sedere e mi disse che due uomini stavano per trasferirsi da lei. Fu solo più tardi che mi resi conto di come Darcy avesse modificato il suo stile di vita per allevarmi come si conveniva. Darcy è dedita alla poliandria in serie, ed è attratta soprattutto da artisti dal viso fiero, intransigenti e indipendenti, di scarso successo e in genere leggermente affamati. A lei piace la fame e la determinazione da parte loro a non scendere a compromessi con i gusti del pubblico. Se ne tiene intorno tre o quattro, offrendo loro cibo e un'occasione di lavoro. In cambio chiede solo che, dopo un certo periodo, siano disposti ad andarsene senza fare storie.
Dovetti scavalcare l'ultimo di questi favoriti per andare in cucina. Stava dormendo sodo, russando sonoramente, e le sue mani erano macchiate di giallo, rosso e verde.
Darcy mi raggiunse mentre mi stavo preparando uno spuntino, mi abbracciò, e si lasciò cadere su di una sedia. Il sole sarebbe stato visibile per un'altra mezz'ora, ma non c'era tempo di cominciare un nuovo dipinto.
— Dove sei stato? Non hai chiamato per tre giorni.
— No? Mi spiace. Eravamo al bayou.
Lei arricciò il naso. Darcy aveva visto il bayou. Una volta.
— Quel posto. Vorrei sapere perché...
— Darcy. Non ricominciamo da capo. Okay?
— D'accordo. — Lei allargò le mani sporche di vernice e le mosse in cerchio, come se stesse cancellando qualcosa, ed era proprio così. Darcy è speciale in queste cose. — Ho un nuovo compagno di camera.
— Ci ho quasi inciampato sopra.
Lei si passò una mano tra i capelli e mi gratificò di una smorfia. — Si farà. Si chiama Thogra.
— Thogra — mormorai, assumendo un'espressione di disapprovazione. — Ascolta, se non ci viene tra i piedi, potremo... — Ma non riuscii a continuare. Stavamo ridendo tutti e due, ed io stavo per soffocare per un boccone che mi era andato per traverso. Darcy sa che cosa ne penso delle sue scelte in fatto di compagni di letto.
— E che ne è stato di... come si chiamava? L'uomo dell'ascella. Quello che veniva sempre arrestato per il cattivo odore.
Lei mi mostrò la lingua.
— Lo sai che se n'è andato mesi fa.
— Ah! Sono i mesi prima che scoprisse l'acqua che io ricordo. Tutti i miei amici si domandavano dove potevamo allevare una capra, i fiori perdevano i petali al suo passaggio, il...
— Abil non è tornato — disse piano Darcy.
Io smisi di ridere. Sapevo che se ne era andato per qualche settimana, ma succede. Alzai un sopracciglio.
— Sì. Be', lo sai che aveva venduto qualche lavoro. E aveva avuto delle offerte. Ma aspetto sempre che venga almeno a riprendersi il suo sacco a pelo.
Io non dissi nulla. Gli amori di Darcy seguono uno schema di cui lei è ben consapevole, ma è sempre spiacevole quando uno di essi finisce. I suoi uomini parlano con disprezzo del genere di arte commerciale che permette a me e a Darcy di mangiare e di pagare i conti dell'ossigeno. A quel punto possono succedere tre cose. Non riescono a concludere nulla e se ne vanno poveri come quando erano arrivati, e col loro disprezzo intatto. Pochi raggiungono il successo alle loro condizioni, costringendo il mondo dell'arte ad accettare le loro strane concezioni. Spesso Darcy rimaneva in buoni rapporti con questi ultimi; aveva un legame del tipo fai-un-salto-e-facciamo-l'amore con metà degli artisti di Luna.
Ma il tipo più comune di commiato era quello in cui l'artista decideva che era stanco della povertà. Con un leggero abbassamento dei propri standard erano tutti in grado di guadagnarsi da vivere. A quel punto diventava intollerabile vivere con la donna che avevano schernito. Generalmente, Darcy se ne liberava in fretta senza troppi rimpianti. Non erano più affamati, non erano più abbastanza fieri da piacerle. Ma era sempre doloroso.
Darcy cambiò argomento.
— Ho preso un appuntamento con il dottore per il tuo Cambio — disse. — Devi andarci lunedì prossimo, al mattino.
Una serie di impressioni rapide, vivide, mi attraversarono la mente. Trilby. Seni con le punte a forma di cuore. Quello che avevo provato quando il mio pene era entrato in lei e la calda stanchezza dopo che il seme aveva lasciato il mio corpo.
— Ho cambiato idea a questo proposito — dissi accavallando le gambe. — Non sono pronto per un altro Cambio. Magari fra qualche mese.
Lei rimase a bocca aperta.
— Cambiato idea? L'ultima volta che ne abbiamo parlato, eri fermamente deciso a cambiare sesso. Infatti mi hai costretta a darti il permesso.
— Me ne ricordo — dissi, sentendomi a disagio. — Ho solo cambiato idea, ecco tutto.
— Ma Argus! Non è giusto. Sono stata sveglia due notti per convincermi di quanto sarebbe stato bello riavere la mia bambina. È passato tanto tempo. Non credi che tu...
— Non è una decisione che spetta a te, Mamma.
Sembrò sul punto di arrabbiarsi, poi socchiuse gli occhi. — Ci deve essere una ragione. Hai conosciuto qualcuno. Giusto?
Ma io non volevo parlarne. Le avevo raccontato della prima volta che avevo fatto l'amore e di tutti quelli con cui ero andato a letto dopo di allora. Ma questo non volevo dividerlo con lei.
Così le parlai dell'incidente capitato in mattinata al bayou. Le t parlai della donna incinta e di quello che aveva fatto Cathay.
Darcy assunse un'aria molto severa. Quando arrivai alla parte del fango, la sua fronte era piena di rughe.
— Non mi piace — disse.
— Non piace nemmeno a me. Ma non vedo che altro potevamo fare.
— Penso che la cosa non sia stata condotta nel modo giusto. Penso che dovrei chiamare Cathay e parlargliene.
— Vorrei che non lo facessi — non dissi altro, e lei studiò il mio viso per un lungo e imbarazzante momento. Lei e Cathay avevano già avuto delle divergenze sul modo di educarmi.
— Questa cosa non dovrebbe essere ignorata.
— Ti prego, Darcy. Sarà il mio insegnante solo per un altro mese. Lascia stare, okay?
Dopo un po' lei annuì e distolse lo sguardo.
— Cresci ogni giorno di più — disse triste. Non capii perché lo dicesse, ma ero grato che avesse lasciato cadere l'argomento. A dire la verità, non volevo più pensare a quella donna. Ma avrei dovuto pensarci, e molto presto.
Avevo intenzione di passare una settimana a casa, ma Trigger chiamò il mattimo seguente per dire che il Mardi Gras '56 sarebbe di nuovo andato in scena e sarebbe cominciato di lì a poche ore. Lei aveva prenotato per noi quattro.
Trigger aveva già visto lo spettacolo, ma io no e nemmeno Denver. Le dissi che ci sarei andato, poi andai a dirlo a Darcy ma la trovai ancora addormentata. Spesso lei dorme per due giorni dopo un Giorno Lunare di lavoro. Le lasciai un biglietto e mi affrettai a prendere il treno.
È chiamato il. Museo dell'Eredità Culturale e benché i Lunariani lo paghino con le loro tasse, sono in pochi a frequentarlo. Sono turbati dalle mostre. Ma ho sentito che ultimamente, con la nascita del Partito della Terra Libera, è diventato più popolare tra coloro che sono alla ricerca delle proprie radici.
Una volta presentarono la Città di Londra nel 1903, e io ci andai per farmi un'idea dei musei terrestri visitando il British Museum. Il MEC non gli assomiglia per niente. Solo pochissimi tesori d'arte, manufatti e curiosità storiche vennero trasferite su Luna nei giorni precedenti l'Invasione. Il risultato fu che tutti i resti tangibili del passato della Terra vennero distrutti.
D'altra parte, il sistema di computer lunare aveva già allora una capacità virtualmente illimitata. Tutto venne registrato ed immagazzinato. Ogni libro, dipinto, ricevuta delle tasse, statistica, fotografia, rapporto governativo, film, nastro, e registrazione si trovano nei banchi di memoria. Proprio come i parchi dei divertimenti sono popolati da animali clonati da cellule immagazzinate nella Biblioteca genetica, allo stesso modo il MEC è pieno di copie perfette ricavate dalle registrazioni di come erano le cose un tempo.
Incontrai gli altri alla Capanna di Zucchero, dove Denver stava cercando di convincere Trigger a portare con noi Tuesday. Tuesday è l'ippopotamo che vive al bayou, sfidando allegramente ogni senso di autenticità. Denver la teneva al guinzaglio e lei se ne stava placida a guardarci, ammiccando con i suoi occhietti porcini.
Denver trovava stuzzicante l'idea di portare al Mardi Gras un ippopotamo chiamato Tuesday, ma Trigger le fece notare che i funzionari del museo non ci avrebbero mai lasciati entrare a New Orleans con l'animale. Denver finalmente si arrese e la rimandò nella palude. Scendemmo tutti e quattro lungo la strada e uscimmo dal bayou; salimmo sul nastro mobile centrale e presto arrivammo nel centro della città.
Ci sono venticinque teatri nel MEC. Normalmente, la metà sono in funzione mentre gli altri vengono preparati per una rappresentazione. Mardi Gras '56 è uno spettacolo ormai vecchio di dieci anni, e generalmente viene dato due volte all'anno per un periodo di due settimane. È una delle ricreazioni più famose.
Andammo nella stanza di orientamento, ascoltammo le istruzioni su come comportarci, e poi ci vennero dati i nostri costumi. Questa è la parte che mi piace di meno. Fino all'inizio del ventunesimo secolo, gli abiti erano disegnati con due scopi principali: la semplicità e la tortura. Se non causavano dolore, bisognava rifarli. Non c'è da meravigliarsi che abbiano passato il loro tempo ad uccidersi. L'avrebbe fatto chiunque, con una gravità maggiore e scarpe dure che mutilavano i piedi.
— Noi saremo dei beatnik — disse Trigger, osservando la fila di abiti di quel periodo. — Erano più informali, e potevano essere adatti. C'erano beatnik nel quartiere francese.
La mancanza di formalità ci andava bene. Le ragazze non avevano bisogno di mettersi il reggiseno e potevamo scegliere tra sandali di pelle e scarpe da tennis di tela. Non posso dire che mi attirassero quei capi di vestiario chiamati Levis. Erano ruvidi e mi pizzicavano i genitali. Ma dopo aver visitato l'Inghilterra Vittoriana (quella volta ero una femmina e gli indumenti che le ragazze erano obbligate ad indossare avrebbero reso pazzo qualunque lunariano), qualsiasi cosa era di sicuro un miglioramento.
L'ingresso dell'olotorium era attraverso i gabinetti sul retro dei night club che si affacciavano sulla Bourbon Street. Ragazzi a sinistra, ragazze a destra. Penso che lo facessero per farti capire subito che stavi tornando nel passato, quando la gente aveva strane abitudini. C'era un terzo gabinetto, in realtà, ma era solo una falsa porta, con la scritta «di colore». Non era più possibile fare quel genere di distinzioni.
Mi piace la musica della New Orleans del 1956. Ce ne sono molte varietà, che suonano tutte simili all'orecchio degli uomini d'oggi con quei ritmi semplici e quella miscela di strumenti a fiato, percussione e a corde. Il termine generico è jazz, e quel particolare tipo di jazz suonato quel pomeriggio, nel piccolo scantinato pieno di fumo, era chiamato dixieland. È dominato da due strumenti chiamati clarinetto e tromba, ciascuno dei quali improvvisa una semplice melodia, mentre il resto del complesso fa un gran chiasso.
Ci fu una breve divergenza di opinioni. Cathay e Trigger volevano che io e Denver rimanessimo con loro, presumibilmente per avere l'occasione di mostrare le loro superiori conoscenze (traduzione: per educarci). Dopotutto, loro erano insegnanti. Sembrava che a Denver non importasse, ma io volevo restare solo.
Risolsi il problema uscendo in strada, pensando che se volevano potevano seguirmi. Non lo fecero, ed io fui libero di andarmene in giro per conto mio.
Andare ad uno spettacolo di olografie non è come andare ad una rappresentazione sensoriale, dove te ne stai seduto e l'azione viene verso di te. E non è nemmeno come andare al parco dei divertimenti, dove tutto è reale e si può ficcare il naso dappertutto. Qui devi fare attenzione a non rovinare l'illusione.
Gran parte degli scenari, dei sostegni e tutti gli attori, sono ologrammi. Le persone reali che ti capita di incontrare, sono visitatori in costume come te. Nel caso di New Orleans era stata stesa una rete di strade, pavimentate come lo erano in origine. Poi erano stati costruiti muri alti due metri dove avrebbero dovuto esserci gli edifici, a cui erano stati sovrapposti ologrammi di vecchi palazzi. Alcune delle porte di queste case erano reali, e chi ci entrava poteva trovare degli interni autentici fino all'ultimo particolare. Tutte le altre nascondevano solo muri.
Non si devono assolutamente fare scherzi infantili con gli ologrammi, è contrario allo spirito del luogo. È necessario fare attenzione a non distruggere l'illusione. Non si parla con la gente a meno che non si sia sicuri che si tratti di persone reali, e non si tocca nulla senza prima averla studiata attentamente. Nessun ologramma regge ad un esame ravvicinato, così è possibile distinguere l'illusione dalla realtà.
L'ambiente era enorme. Avevano riprodotto il quartiere francese, o Vieux Carre, dal Mississipi a Rampant Street e da Canal Sfreet fino a sei isolati ad est. Vista da Canal, la città sembrava pullulare di vita per molti chilometri tutt'intorno, anche se sapevo che c'era un muro proprio sulla linea gialla nel mezzo.
New Orleans '56 comincia a mezzogiorno del Martedì Grasso e prosegue per tutta la notte. Noi eravamo arrivati nel pomeriggio tardi, con il sole che cominciava a disegnare lunghe ombre sull'interminabile parata. Volevo vedere il posto prima che facesse buio.
Camminai lungo Canal per alcuni isolati, guardando le vetrine. C'era un vecchio cinema per film a schermo piatto, con un cartellone che annunciava Da qui all'eternità, vincitore di qualcosa chiamato Oscar. Vidi che era un luogo reale e pensai di entrarci, ma ho sempre paura che questi vecchi film in 2-D mi lascino depresso, anche se Trigger dice che sono molto belli.
Così continuai a camminare per le strade, osservando, pensando di scrivere una storia ambientata nella vecchia New Orleans.
Per questa ragione non ho voluto restare con gli altri ad ascoltare la musica. La musica non è qualcosa che si possa davvero inserire in una storia, a parte una nuda descrizione di come suona, chi la suona e dove viene ascoltata. E anche andare al film 2-D non sarebbe stato di grande utilità, per la stessa ragione.
Ma le strade, le strade! Lì c'era qualcosa da studiare!
Lo schema era lo stesso della Vecchia Londra, ma i dettagli erano cambiati. Le strade erano piene di carrozze senza cavalli, grandi scatole quadrate di metallo che dovevano essere il più inefficiente mezzo di trasporto mai ideato. Niente era perfettamente diritto o molto pulito; camminare per le strade significava rischiare di rompersi un dito o di pungersi la pianta dei piedi. Non c'è da meravigliarsi che portassero scarpe pesanti.
Sapevo a che cosa servivano le luci rosse e verdi, e le strisce dipinte sulla strada. Ma le file di aggeggi misura-tempo allineati lungo ciascun lato della strada? Che cos'era quell'oggetto di metallo rosso su cui un cane stava orinando? Che cosa significava il suono del clacson? Perché c'erano dei fili sospesi in alto su pali di legno? Ignorai la festa del Martedì Grasso e trascorsi piacevolmente più di un'ora cercando risposte a queste e a molte altre domande.
Che impresa scrivere di questo periodo, costruire una storia su di un frammento di vita, nel quale questi dettagli esotici sembravano normali e ragionevoli. Mi raffigurai un abitante di New Orleans trapiantato ad Archimede e cercai di immaginarmi la sua confusione.
Poi vidi Trilby e mi dimenticai di New Orleans.
Era seduta al volante di una Ford familiare del 1955. Lo so perché quando mi fece cenno di raggiungerla e cambiò sedile per lasciarmi guidare, vidi una placca dorata sulla fiancata proprio sotto il finestrino anteriore.
— Come si guida questa cosa? — chiesi confuso, ma cercando di non mostrarlo. C'era qualcosa che non andava. Forse lo avevo sempre saputo, ma lo ammettevo solo ora.
— Per partire devi premere quel pedale, e quell'altro invece per fermarti. Ma si controlla in gran parte da sola. — La macchina le diede ragione scivolando nella corrente di traffico olografico. Strinsi le mani sul volante e scoprii che entro certi limiti potevo guidare io la vettura. Finché non andavo a sbattere contro qualcosa, lasciava che fossi io a comandare.
— Che cosa fai qui? — le chiesi, cercando di assumere un tono noncurante.
— Sono passata da casa tua — disse lei. — Tua madre mi ha detto che eri qui.
— Non mi ricordo di averti detto dove abito.
Lei alzò le spalle, senza un grande entusiasmo. — Non è difficile scoprirlo.
— Io... voglio dire, tu non... — non ero sicuro di quello che volevo dire, ma decisi che era meglio continuare. — Non ci siamo incontrati per caso, vero?
— No.
— E tu sei la mia nuova insegnante.
Lei sospirò: — Questa è una semplificazione eccessiva. Io voglio essere una delle tue nuove insegnanti. Cathay mi ha raccomandato a tua madre, e quando le ho parlato mi è sembrata interessata. Volevo solo darti un'occhiata sul treno, ma quando ho visto che mi guardavi... be', ho pensato di darti qualcosa che ti facesse ricordare di me.
— Grazie.
Lei distolse lo sguardo. — Darcy mi ha detto oggi che potrebbe essere stato un errore.
— È bello sapere che anche tu puoi fare errori.
— Credo di non capire.
— Non mi piace essere prevedibile. Non mi piace che si giochi con me. Forse urta la mia dignità. Forse ne ho abbastanza di quello che fanno Trigger e Cathay. Tutte le lezioni.
— Capisco, adesso — sospirò lei. — È una reazione abbastanza comune, nei ragazzi svegli, loro...
— Non dirlo.
— Mi dispiace, ma devo. Non ha senso nasconderti che il mio lavoro è conoscere la gente, e soprattutto i bambini. Questo significa conoscere le fasi che essi attraversano, compresa la fase in cui a loro piace immaginare di non attraversare alcuna fase. Non avevo riconosciuto i sintomi in te, per cui ho commesso un errore.
— Che importanza ha, comunque? A Darcy piaci. Questo significa che diventerai la mia insegnante, vero?
— No, non significa questo. Non con me, almeno. Io rappresento una delle prime grandi opportunità che hai di farcela senza interferenze degli adulti.
— Non ci arrivo.
— Questo perché non ti ha mai interessato abbastanza scoprire che cosa ti può riservare la tua istruzione. Col rischio di offenderti ancora, direi che è una reazione comune nella gente della tua età. Ti manca un mese per diplomarti con Cathay, pronto per iniziare una nuova fase educativa più orientata verso uno scopo, e non ti sei mai preoccupato di scoprire che cosa implica questo. Ti sei mai fermato a pensare a che cosa c'è tra te e il fatto di diventare uno scrittore?
— Io sono già uno scrittore — dissi, arrabbiandomi per la prima volta. Prima di allora mi ero sentito più ferito che altro. — So usare le parole, e osservo la gente. Forse non avrò ancora molta esperienza, ma riuscirò a farmela, con o senza di te. Non ho nemmeno più bisogno di avere degli insegnanti. Almeno questo lo so.
— Hai ragione, naturalmente. Ma tu hai sempre saputo che tua madre intendeva pagare per offrirti un'istruzione più avanzata. Non ti sei mai domandato come sarebbe stata?
— Perché avrei dovuto? Non ti viene in mente che non me ne sono interessato semplicemente perché non mi sembra così importante? Voglio dire, chi ha mai domandato la mia opinione su tutto questo, fino ad ora? Qual è la posta in gioco? Sembra che tutti sappiano quello che è meglio per me. Perché avrei dovuto essere consultato?
— Perché ormai sei quasi un adulto. Il mio compito, se tu mi assumerai, sarà di facilitare la transizione. Quando l'avrai compiuta, lo saprai, e non avrai più bisogno di me. Questa non è la fase primaria. Il compito del tuo primo insegnante era di coadiuvare tua madre nell'insegnamento dei principi base per trattare con altri individui e con la società, e di riempirti la testa con tutte le nozioni che un bambino di sette anni può assorbire. Ti hanno insegnato il linguaggio, l'abilità manuale, il ragionamento, l'igiene, la responsabilità, e a non entrare in un portello senza la tuta pressurizzata. Hanno preso un marmocchio egocentrico e l'hanno trasformato in un essere morale. È un lavoro duro; un attimo, e avresti potuto diventre un sociopatico.
«Poi ti hanno consegnato a Cathay. Ma non te ne sei accorto. Un giorno lui è spuntato, solo un altro compagno di giochi della tua età. Eri felice e fiducioso. Lui ti ha guidato gentilmente, lasciando che fosse la tua curiosità naturale a fare la maggior parte del lavoro. Ha scoperto le tue capacità creative prima che tu stesso te ne accorgessi, preoccupandosi che tu avessi delle cose interessanti a cui pensare, a cui reagire, da sperimentare.
«Ma negli ultimi tempi sei diventato un problema per lui. Non è colpa tua e nemmeno sua, ma tu non vuoi più nessuno che ti guidi. Vuoi farlo da solo. Hai la vaga sensazione di essere manipolato.
— Non è poi così sorprendente — mi intromisi io. — Io sono manipolato.
— È vero, per quel che ne sai. Ma che cosa vorresti che facesse Cathay? Che lasciasse tutto al caso?
— Questo non c'entra. Stiamo parlando dei miei sentimenti di adesso, e sento che tu sei stata disonesta con me. Mi hai fatto sentire uno sciocco. Credevo che quello che era successo fosse stato... fosse stato spontaneo, sai? Come in una fiaba.
Lei fece un sorriso buffo. — Che modo strano di vedere la cosa. La mia intenzione era di farti vivere un sogno erotico.
Immagino che fosse proprio la semplicità con cui lo ammise a disorientarmi. Avrei dovuto dirle che non c'era una vera differenza. Sia le fiabe che i sogni erotici sono visioni impossibili di mondi di comodo, mondi dove le cose vanno come si vuole che vadano. Ma non dissi nulla.
— Mi accorgo adesso che quello è stato il modo sbagliato di avvicinarti. Francamente, pensavo che ti fossi divertito. Aspetta, mi correggo. Pensavo che continuasse a piacerti anche dopo averlo saputo. È chiaro che ti è piaciuto mentre capitava.
Di nuovo non dissi nulla, perché era la pura verità. Ma non era quello il punto.
Lei rimase in attesa, osservandomi mentre guidavo la macchina nel traffico. Poi sospirò e riprese a guardare fuori dal finestrino.
— Bene, ora sta a te. Come ho detto, non decideranno più le cose per te. Devi decidere tu se vuoi che io sia la tua insegnante.
— E che cosa insegni?
— Il sesso è una parte.
Fui sul punto di dire qualcosa, ma mi trattenne la nuova idea che qualcuno ritenesse che lei poteva (o doveva) insegnarmi qualcosa sul sesso. Voglio dire, che cosa c'era da imparare?
Quasi non me ne accorsi quando la macchina si fermò da sola, e venni strappato dalle mie meditazioni soltanto quando un uomo vestito di blu cacciò la testa nel finestrino sul mio lato. Dietro di lui c'era una donna, vestita nello stesso modo. Mi accorsi che indossavano le uniformi dei poliziotti del 1956.
— Tu sei Argus-Darcy-Meric? — chiese l'uomo.
— Sì. Lei chi è?
— Il mio nome è Jordan. Mi spiace, ma devi venire con me. Sei in arresto. È stata sporta denuncia contro di te.
Arresto. Essere preso in custodia dalle autorità legali. O fermarsi all'improvviso.
Essere arrestato contiene entrambi i significati, mi sembra. Sei in custodia e la tua vita viene temporaneamente sospesa. Qualunque cosa tu stia facendo viene interrotta, e ad un tratto una sola cosa è importante.
Non mi preoccupai tanto finché non capii che cosa fosse realmente. In fondo, tutti vengono arrestati. Non si può evitarlo, in una società di leggi. Inoltre una denuncia contro qualcuno è il modo migliore per impedire ad una situazione di degenerare nella violenza. Ero già stato arestato tre volte in precedenza, e in due occasioni ero stato riconosciuto colpevole. Una volta avevo inoltrato io stesso una denuncia, ed era stata accolta.
Ma questa volta era diverso. Ritenevo improbabile di essere stato arrestato per qualche piccola infrazione di cui non mi ero neppure accorto. No, qui doveva trattarsi della donna incinta e del fango, ebbi il tempo di rifletterci mentre sedevo nella cella dalle pareti nude, e di preoccuparmi sul serio. Noi l'avevamo attaccata fisicamente, su questo non c'erano dubbi.
Finalmente venni convocato nella stanza degli interrogatori. Era più grande di quella in cui ero stato le altre volte. Nelle precedenti occasioni erano coinvolte solo due persone. Questa stanza conteneva cinque cabine di vetro a forma di cuneo, ognuna con una sedia all'interno, disposte in modo da formare un cerchio. Venni fatto entrare nell'unica rimasta vuota e mi voltai a guardare Cathay, Denver. Trigger... e la donna.
C'è silenzio nelle cabine. Si è molto soli.
Vidi entrare la madre di Denver, che andò a sedersi dietro la figlia, fuori dalla cabina. Mi voltai, e vidi Darcy. Sorprendentemente, con lei c'era Trilby.
— Salve, Argus — la voce del Computer Centrale riempì la minuscola cabina, col solito tono cordiale ma per nulla rassicurante.
— Salve, CC — cercai di prenderla alla leggera, ma naturalmente il CC non si lasciò ingannare.
— Mi dispiace vederti in questo grosso guaio.
— È davvero così grave?
— L'accusa lo è di certo. Non ha senso negarlo. Non posso fare commenti sulle testimonianze o sulle tue possibilità. Ma tu sai che puoi rischiare una condanna a morte, con la sospensione automatica della pena.
Me ne rendevo conto. E sapevo anche che raramente veniva comminata a qualcuno della mia età. Ma per quello che riguardava Cathay e Trigger?
Non mi sono mai interessato del termine «sospensione». Suona come se non dovessero ucciderti, ma in realtà lo fanno. Morto, completamente. Il trucco sta nello sviluppare un clone da una cellula del tuo corpo e portarlo velocemente alla maturità instillando i tuoi ricordi registrati. Così qualcuno identico a te continuerà ad esistere, ma tu sarai morto. Nel mio caso l'ultima registrazione era stata fatta tre anni fa. Avrei perso un quarto della mia vita. Se avessero ritenuto che era necessario uccidermi, il nuovo Argus, non io, ma qualcuno con il mio nome e i miei ricordi, avrebbe ricominciato dall'età di dieci anni. Sarebbe stato sorvegliato strettamente, e gli sarebbe stata assegnata una guida speciale per assicurarsi che non diventasse un sociopatico come me.
Il CC si lanciò nelle spiegazioni, obbligatorie per legge, su quello che sarebbe successo; i miei diritti, la procedura, le accuse, le possibili sanzioni penali, quello che sarebbe accaduto se le testimonianze avessero convinto il CC che si trattava di un'offesa capitale.
— Uffa! — sbuffò il CC, ritornando a quel tono informale che lui sapeva essere il mio preferito. — Ora che abbiamo sgombrato il campo, posso dirti che dai rapporti preliminari credo che te la caverai.
— Non lo dici tanto per dire? — Ero sinceramente spaventato. L'enormità della cosa aveva avuto il tempo di insinuarsi dentro di me.
— Dovresti conoscermi meglio.
Le testimonianze cominciarono. Toccò subito alla querelante. Ed io venni a sapere che si chiamava Tiona. Il primo giro era libero e potevamo dire tutto ciò che volevamo e lei aveva delle cose piuttosto pesanti sul conto di noi quattro.
Il CC chiese a tutti noi come si erano svolti i fatti. Credo che il resoconto di Cathay fosse molto accurato, tranne che per la parte che mi riguardava. Durante le loro deposizioni, sia Cathay che Trigger sporsero una contro-querela. Il CC ne prese nota. Sarebbero state giudicate simultaneamente.
Ci fu una breve pausa, poi il CC adottò il suo tono «ufficiale».
— Per quello che riguarda Denver e Argus: la testimonianza esclude la premeditazione, ma non nega la descrizione fisica dell'incidente e la sentenza di Aggressione viene confermata. Si tiene conto di circostanze attenuanti come l'età e la conseguente incapacità di fronteggiare l'aspetto sovversivo della situazione, con il seguente verdetto: l'accusa viene ridotta a Privazione Intenzionale di Dignità.
«Nella causa di Tiona contro Argus: colpevole.
«Nella causa di Tiona contro Denver: colpevole.
«Avete qualche cosa da aggiungere prima che sia pronunciata la sentenza?
Io ci pensai sopra. — Mi dispiace — dissi. — Quello che è successo mi ha turbato molto. Non lo rifarei.
— A me non dispiace — disse Denver. — Se l'è proprio voluta. Mi dispiace per lei, ma non sono pentito di quello che ho fatto.
— Si prenda nota delle dichiarazioni — disse il CC. — Siete entrambi multati per la somma di trecento Marchi, il cui pagamento viene rimandato fino a quando non avrete raggiunto l'età lavorativa; la somma verrà trattenuta nella misura del dieci per cento dei vostri guadagni fino all'estinzione del debito, una metà del quale andrà a Tiona e l'altra allo Stato. La sentenza finale sarà rimandata fino a quando non sarà stato fatto un ulteriore esame delle questioni tuttora all'attenzione della corte.
«Te la sei cavata facilmente» disse il CC rivolgendosi a me. «Ma fai attenzione. Le cose potrebbero ancora cambiare e potrebbe anche darsi che tu non debba pagare la multa.
È piuttosto sconcertante ricevere una condanna e poi un attestato di solidarietà sempre dalla stessa macchina. Dovevo guardarmi dalla sensazione che il CC fosse dalla mia parte. Non lo era, non veramente. È assolutamente imparziale, per quel che ne so io. Ma è un'intelligenza così vasta che può costruirsi una diversa personalità per ogni cittadino a cui si rivolge. Quella parte che mi aveva appena parlato simpatizzava davvero con me, ma non aveva il potere di influenzare la parte giudicante.
— Non capisco — dissi. — Che cosa succede, ora?
— Be', sono stato di nuovo rashomonizzato. Questo significa che ciascuno di voi ha raccontato la storia dal suo punto di vista. Non ci siamo spinti abbastanza a fondo nel cercare la verità. Ora vi collegherò, e faremo un altro giro.
Mentre parlava, vidi puntare le sonde dietro le sedie, piccoli serpentelli dorati con una presa all'estremità. Sentii quella alle mie spalle che mi frugava tra i capelli per trovare il terminale. E si inserì.
I livelli di testimonianza collegata sono due. Darcy, Trilby e la madre di Denver dovettero lasciare la stanza durante la prima fase, quando raccontammo la storia senza censure in funzione. La trascrizione conferma la mia versione quando dico che nella prima testimonianza non ho mentito, contrariamente a Tiona, che ha detto parecchie bugie. Ma sembra che le due versioni non coincidano comunque. Ho raccontato un mucchio di cose che non avrei mai rivelato se non fossi stato collegato: paure, desideri informi ed egoisti, motivazioni infantili. È imbarazzante, e sono contento di non ricordare nulla. E sono ancora più contento che solo a Tiona ed a me, come parti in causa, sia concesso di assistere alla testimonianza registrata. Anche se avrei preferito essere il solo a vederla.
La seconda fase è la separazione dei subconscio. Raccontai la storia una terza volta in termini asettici e precisi come la sceneggiatura di un testo per l'olovisione.
Poi i terminali si disinnestarono ed io ebbi un attimo di disorientamento. Sapevo dove mi trovavo, dove ero stato, eppure avevo la sensazione che la cosa mi fosse stata raccontata, senza averla veramente vissuta. Ma passò rapidamente. Mi stirai.
— Siete tutti pronti a continuare? — chiese educatamente il CC. Tutti rispondemmo affermativamente.
— Molto bene. Nelle cause di Tiona contro Denver e Argus: il giudizio di colpevolezza è confermato in entrambi i casi, ma le multe sono ritirate a fronte della provocazione, della minore responsabilità dovuta a immaturità, e della mancanza di segni che indichino la possibile persistenza di un comportamento sociopatico. In luogo delle multe, Denver ed Argus dovranno presentarsi ogni settimana per una valutazione ed un'istruzione in principi morali fino a quando non potrà essere emesso un giudizio: la durata di tali sessioni non potrà essere inferiore alle quattro settimane.
«Nella causa di Tiona contro Trigger: Trigger è colpevole di Aggressione. Ad attenuare questo giudizio c'è la sua motivazione, ovvero egli aveva capito la strategia di Cathay nel trattare con Tiona ed era convinto di comportarsi per il meglio. Questa corte prende atto del suo atteggiamento pietoso: che fosse giusto è un'altra questione. Non ci sono dubbi che abbia avuto luogo un'aggressione fisica. Non può essere perdonato, non importa quali fossero le motivazioni. Quindi per errato giudizio questa corte multa Trigger per una somma pari al dieci per cento dei suoi guadagni per un periodo di dieci anni, che andrà interamente versato alla parte lesa, Tiona.
Tiona non sembrava compiaciuta. A quel punto doveva aver capito che le cose non stavano volgendo a suo favore. Stavo cominciando a capirlo anch'io.
— Nella causa di Tiona contro Cathay — continuò il CC. — Cathay è colpevole di Aggressione. È stato appurato che le sue motivazioni erano quelle di evitare proprio quella situazione in cui egli si trova ora, nella certezza che Tiona avrebbe sofferto molto se lui l'avesse portata davanti alla corte. Ha tentato di porre fine al confronto con un minimo di sofferenze per Tiona, senza assolutamente immaginare che lei avrebbe mostrato cattivo discernimento portando il caso davanti al tribunale. Ma lei ha deciso in questo senso, ed ora lui si trova in arresto per aggressione. Alla luce delle sue motivazioni, la corte mitigherà il suo giudizio. Gli viene ordinato di pagare la stessa multa della sua collega, Trigger.
— Ora la causa di Trigger e Cathay contro Tiona. — Vidi Tiona accasciarsi sulla sedia.
— Viene riconosciuta colpevole perché spinta da follia delle seguenti accuse: molestia, violazione, aggressione verbale e di quattro diverse infrazioni.
«La tua colpa è stata di cercare di addossare ad altri la responsabilità per la tua errata capacità di giudizio e le tue disgrazie. La corte comprende la tua situazione e si rende conto che non ne sei interamente responsabile. Questo però non giustifica il tuo comportamento.
«Cathay ha cercato di farti un favore, ritenendo che il tuo stato di aberrazione mentale non sarebbe durato tanto a lungo da spingerti a lanciare delle accuse e che, una volta rimasta sola, ci avresti ripensato, e ti saresti resa conto di avergli fatto un grosso torto, e avresti capito che la corte avrebbe deciso in suo favore.
«Lo Stato ti ritiene responsabile del tuo esercizio mentale e non gli importa quali siano le tue opinioni o le tue valutazioni sulla realtà, finché queste non ledono i diritti degli altri cittadini. Sei libera di pensare che Cathay sia responsabile dei tuoi guai, anche se questa opinione è irrazionale, ma quando lo aggredisci con questa opinione, lo Stato deve prenderne atto e dare un giudizio sul valore di questa opinione.
«Questa corte è quindi chiamata a giudicare se essa sia giusta o sbagliata, e decide che la tua opinione è priva di fondamento.
«Questa corte ti riconosce pazza.
«La sentenza è la seguente:
«Previa approvazione delle parti lese, ti viene data la scelta tra la condanna a morte con relativa sospensione e un trattamento che elimini le tue tendenze sociopatiche.
«Argus, tu chiedi la sua morte?
— Eh? — Questa fu per me una grande sorpresa, e piuttosto sgradita. Ma la decisione non mi creò problemi.
— No, non chiedo niente. Pensavo di esserne fuori, e tutta la cosa mi fa stare male. L'avresti davvero uccisa se te lo avessi chiesto?
— Non posso rispondere a questa domanda perché non me l'hai chiesto. Probabilmente non lo avrei fatto, soprattutto a causa della tua età. — Continuò, rivolgendo la domanda agli altri quattro, e ho il sospetto che Tiona sarebbe finita nella tomba se Cathay l'avesse voluto, ma lui non volle. E neppure Trigger o Denver.
— Molto bene. Che cosa scegli, Tiona?
A voce molto bassa rispose che sarebbe stata grata di avere una possibilità di continuare a vivere. Poi ringraziò ognuno di noi. Fu tremendamente doloroso per me. I miei stimoli empatici erano in tumulto, e io cercavo di immaginarmi che cosa avrei provato se un rappresentante ufficiale della società mi avesse dichiarato pazzo.
Per il resto si trattò di definire i dettagli. Tiona venne multata pesantemente, sia in tasse che in spese processuali, e in fondi da pagare a Cathay e Trigger. Le loro multe vennero assorbite da quelle molto più consistenti a cui era stata condannata, con il risultato che lei sarebbe andata avanti a pagarle per anni. Suo figlio era in ibernazione; il CC decretò che vi sarebbe rimasto finché Tiona non fosse stata dichiarata sana, dal momento che ora non era adatta ad allevarlo. Mi venne in mente che se le fosse venuta l'idea di metterlo in animazione sospesa mentre gli cercava un insegnante, tutti noi avremmo potuto evitare il processo.
Tiona se ne andò in fretta non appena le porte si aprirono. Darcy mi abbracciò mentre Trilby rimase sullo sfondo, ma io andai ad unirmi agli altri, in attesa dei festeggiamenti.
Ma Trigger e Cathay non erano per niente felici. In effetti si sarebbe detto che avessero appena perso la causa. Si congratularono con Denver e con me e poi se ne andarono di corsa. Io guardai Darcy, ma nemmeno lei sorrideva.
— Decisamente non capisco — confessai. — Perché sono tutti così tetri?
— Devono ancora vedersela con l'Associazione degli Insegnanti — disse Darcy.
— Continuo a non capire. Hanno vinto.
— Per l'Associazione degli Insegnanti non è questione di vincere o di perdere — disse Trilby. — Tu dimentichi che sono stati giudicati colpevoli di aggressione. E a peggiorare le cose, tu e Denver eravate presenti quando è successo. È stato per causa loro che vi siete uniti all'aggressione. Ho paura che l'A.I. avrà qualcosa da ridire.
— Ma se il CC pensa che non debbano essere puniti, perché l'A.I. dovrebbe pensarla in un altro modo? Il CC non è forse più in gamba di tutti noi?
Trilby fece una smorfia. — Vorrei poterti rispondere. Vorrei persino essere sicura di come la penso.
Mi venne a cercare il giorno seguente, poco dopo che l'Associazione degli Insegnanti ebbe pronunciato la sua decisione. Veramente non avrei voluto vederla, ma il bayou non è in realtà così grande da potercisi nascondere, e io non ci avevo neppure provato. Ero seduto sull'erba della collina più alta del bayou, che è anche il luogo più asciutto.
Lei portò a riva la canoa e salì lentamente, dandomi tutto il tempo per allontanarla se veramente avessi voluto rimanere solo. Ma che diavolo, avrei dovuto parlarle, prima o poi.
Per lungo tempo rimase seduta con i gomiti appoggiati sulle ginocchia a fissare le acque tranquille, come io avevo fatto per tutto il pomeriggio.
— Come l'ha presa? — chiesi alla fine.
— Non lo so. È ritornato, se vuoi parlargli. Forse gli farebbe piacere parlare con te.
— Almeno Trigger ne è uscita bene. — Appena lo dissi mi accorsi che suonava falso.
— Tre anni di libertà vigilata non sono una cosa su cui scherzare. Dovrà chiudere questo posto pei un po'. Metterlo in naftalina.
— In naftalina. — Vidi Tuesday, l'ippopotamo, che sguazzava nel fango sull'altra riva. Tuesday in animazione sospesa? Pensai al bambino di Tiona, in un contenitore in attesa che sua madre tornasse sana. Ricordai gli anni felici passati a sguazzare nel fango del bayou e vidi le acque congelate, i ghiaccioli che si attorcigliavano ai viticci tra i rami spogli. — Immagino che costerà un bel po' di soldi rimettere in piedi tutto questo dopo tre anni, vero? — Avevo un'idea solo approssimativa del denaro, fino ad ora non era mai stato importante per me.
Trilby mi lanciò un'occhiata, con le palpebre socchiuse. Scrollò le spaile.
— È probabile che Trigger dovrà vendere questo posto. C'è un acquirente che lo vuole ingrandire per trasformarlo in un campo di golf.
— Un campo di golf — ripetei, stordito. Prati ben rasati, graziosi ostacoli d'acqua naturali, fossati di sabbia, bandierine agitate dal vento. Tutto sterile. All'improvviso ebbi voglia di piangere, ma per qualche ragione mi trattenni.
— Non puoi tornare qui, Argus. Nulla resta uguale. Il cambiamento è qualcosa a cui dovrai abituarti.
— Anche Cathay dovrà farlo, — E fino a che punto ci si aspetta che una persona accetti il cambiamento? Improvvisamente, mi resi conto che ora Cathay avrebbe fatto quello che io desideravo. Sarebbe cresciuto con me invece di regredire per crescere con un altro bambino. E ad un tratto mi parve troppo. Non era colpa mia se gli stava succedendo questo, ma l'averlo desiderato e ora vedere quel sogno diventare realtà mi faceva sentire profondamente a disagio. Scoppiai in lacrime e continuai a piangere per parecchio tempo.
Trilby mi lasciò solo ed io ne fui molto sollevato.
Lei era ancora là quando ripresi il controllo di me stesso. Ma non mi importava. Mi sentivo vuoto, con la gola che mi bruciava. Nessuno mi aveva detto che la vita sarebbe stata così.
— E... e la bambina che Cathay doveva istruire? — chiesi alla fine, sentendo che dovevo dire qualcosa. — Che cosa le succederà?
— L'A.I. se ne assume la responsabilità — disse Trilby. — Anche per quello di Trigger.
La guardai; era sdraiata, con le braccia piegate dietro la testa. I suoi capezzoli a forma di cuore si inturgidirono mentre la osservavo.
Lei mi guardò, con un sorriso all'angolo della bocca. Io mi sentii un po' meglio. Era terribilmente carina.
— Immagino che possa... Be', non può continuare ad insegnare ai ragazzi più grandi?
— Penso di sì — disse Trilby con una scrollata di spalle. — Non so se vorrà. Conosco Cathay. Non la prenderà bene.
— C'è qualcosa che posso fare?
— Non credo. Parlagli. Dimostragli simpatia, ma non troppo. Toccherà a te comprenderlo. Capire se vuole stare con te.
Era tutto troppo confuso. Come avrei potuto sapere quello di cui aveva bisogno? Lui non era venuto a trovarmi. Ma Trilby sì.
Ed in quel momento c'era una sola cosa non complicata nella mia vita, una cosa che potevo fare e sulla quale non avrei avuto bisogno di riflettere. Rotolai, e il mio corpo fu sopra quello di Trilby. Cominciai a baciarla. Lei mi rispose con un pigro erotismo che trovai irresistibile. Conosceva davvero qualche trucco che io ignoravo.
— Com'era? — le chiesi molto più tardi.
Di nuovo quel sorriso. Ebbi la sensazione di divertirla continuamente e, chissà perché, non me ne importava. Forse dipendeva dal fatto che non faceva mistero di essere lei l'adulta e io il bambino. Sarebbe stato così tra di noi: sarei stato io a dover crescere, e lei non sarebbe tornata indietro per raggiungermi.
— Vuoi un voto? — chiese lei. — Come nel ventesimo secolo? — Si alzò in piedi e si stirò.
— Va bene, sarò sincera. Meriti dieci per lo sforzo; ma qualunque ragazzo di tredici anni ci sarebbe riuscito. È così. Come tecnica sei un po' più scarso. Non che mi aspettassi di più, per la stessa ragione.
— Così tu vuoi insegnarmi a fare meglio? È questo il tuo compito?
— Solo se mi assumi. E il sesso è solo una piccola parte. Ascolta, Argus, io non ti farò da madre. Darcy svolge molto bene questo ruolo. Non sarò neppure la tua compagna di giochi, come lo era Cathay. Non ti impartirò delle lezioni morali. In ogni caso, di queste sei già stufo.
Era vero. Cathay non era mai stato davvero un mio coetaneo, anche se aveva fatto del suo meglio per sembrarlo e comportarsi come tale. Ma l'illusione aveva cominciato a farsi trasparente, e immagino che dovesse andare così. Non potevo più ignorare le contraddizioni, ero troppo cinico e sofisticato perché lui potesse continuare a nascondere le sue lezioni sotto il velo delle attività quotidiane.
Mi infastidiva, più o meno come il CC. Il CC poteva dimostrarmi la sua amicizia, e un momento dopo condannarmi a morte. Io volevo qualcosa di più e sembrava che Trilby potesse offrirmelo.
— Non ti insegnerò neppure discipline scientifiche o attività pratiche, avrai dei maestri per quello, quando avrai deciso cosa vorrai fare — stava dicendo lei.
— E allora che cosa insegni, tu?
— Lo sai, non riuscirai mai a trovare un modo adatto per descriverlo. Non ti starò sempre vicina, come faceva Cathay. Verrai tu da me quando vorrai, magari quando avrai un problema. Io sarò comprensiva e farò quello che potrò, ma soprattutto mi limiterò a farti notare che toccherà a te fare tutte le scelte più difficili. Se sarai stato stupido te lo dirò, ma non sarò sorpresa né delusa se tu continuerai a comportarti come uno stupido. Puoi usarmi come un modello, ma non sarà una cosa su cui insisterò. Ma prometto che ti dirò sempre le cose come stanno, come le vedo io. Non cercherò di renderle meno dolorose. È giunto il momento per il dolore. Pensa a Cathay come ad un bambino di professione. Non lo sto sminuendo. Lui ti ha trasformato in un essere civilizzato, e quando ti ha preso, tu certo non lo eri ancora. È merito suo se adesso ti prendi a cuore la sua situazione, se ti senti diviso nei tuoi sentimenti di lealtà. E lui è tanto in gamba da sapere cosa sceglierai.
— Scegliere? Cosa vuoi dire?
— Questo non posso dirtelo. — Lei allargò le braccia e fece un sorrisetto. — Vedi come sono utile?
Stava di nuovo confondendomi. Perché le cose non potevano essere semplici?
— Allora se Cathay è un bambino di professione, tu sei un'adulto di professione?
— Puoi anche metterla così. Non è proprio la stessa cosa.
— Credo di continuare a non capire per che cosa Darcy ti pagherebbe.
— Faremo l'amore molto spesso. Che ne dici? È abbastanza semplice questo per te? — Si tolse un po' di terriccio dalla schiena e fissò imbronciata il suolo. — Ma non più in un luogo sporco. Non mi piace la sporcizia.
Anch'io mi guardai intorno. Quel posto era davvero un disastro. Non era per niente grazioso. Mi domandai come avessi fatto ad amarlo tanto. D'un tratto volli andarmene, andare in un posto pulito, asciutto.
— Vieni — le dissi alzandomi. — Voglio riprovare qualcuna di quelle cosette.
— Questo significa che ho un lavoro?
— Sì, credo di sì.
Cathay era seduto sul portico della Capanna di Zucchero, con una fila di bottiglie di birra scura allineate lungo il bordo. Ci sorrise quando ci avvicinammo. Era completamente ubriaco.
È strano. Ci eravamo ubriacati insieme un mucchio di volte, noi quattro. È molto divertente. Ma quando è una sola persona ad essere ubriaca, è piuttosto disgustoso. Non che lo biasimassi. Ma quando si beve insieme tutte le battute hanno un senso; quando bevi da solo, diventi insopportabile persino a te stesso.
Trilby ed io ci sedemmo accanto a lui. Lui voleva cantare, ci mise in mano una bottiglia e io la sorseggiai cercando di entrare nello spirito della cosa. Ma molto presto scoppiò a piangere e io mi sentii malissimo. Ammetto che non si trattava proprio di comprensione. Mi sentivo impotente perché c'era così poco che potessi fare, ed anche un po' seccato per tutte le promesse che mi aveva fatto. Sarei venuto comunque a trovarlo. Non doveva frignare sulla mia spalla implorandomi di non abbandonarlo.
Così lui pianse sulla mia spalla e su quella di Trilby, poi rimase seduto tra di noi con aria infelice. Cercai di consolarlo.
— Cathay, non è la fine del mondo. Trilby dice che potrai continuare ad insegnare ai ragazzi più grandi. Quelli della mia età e oltre. L'A.I. ha detto solo che non potevi trattare con i più giovani.
Lui borbottò qualcosa.
— Non sarà poi così diverso — dissi, incapace di tacere.
— Forse hai ragione,
— Certo. — Stavo inconsciamente cadendo in quella falsa allegria che la gente usa con gli ubriachi. Luì se ne accorse immediatamente.
— Che cosa diavolo ne sai, tu? Pensi che tu... dannazione, che cosa ne sai? Lo sai che genere di persona ci vuole per fare il mio mestiere? Una specie di spostato, ecco che cosa. Qualcuno che non vuole crescere più di quanto lo voglia tu. Siamo entrambi codardi, Argus. Tu non lo sai, ma io sì. Io sì. E cosa diavolo farò? Eh? Perché non te ne vai? Hai avuto quello che volevi, no?
— Calmati, Cathay — disse Trilby stringendolo a sé. — Calmati.
Lui si pentì immediatamente e cominciò a piangere piano. Disse che gli spiaceva, più di una volta, ed era sincero. Disse che non voleva, che gli era scappato di bocca, che era stato crudele.
E avanti di questo passo.
M'irrigidii.
Lo mettemmo a dormire nella capanna e poi ci incamminammo lungo la strada.
— Dovremo tenerlo d'occhio per i prossimi giorni — disse Trilby. — Ce la farà, ma sarà dura.
— D'accordo — dissi io.
Diedi uno sguardo alla capanna prima di girare intorno alla falsa curva. Per un attimo vidi Beatnik Bayou come una illusione perfetta, una finestra attraverso il tempo. Poi girammo intorno all'albero e tutto si frantumò. Prima non mi era mai importato.
Ma era un posto così squallido. Non mi ero mai accorto di quanto fosse brutta la Capanna di Zucchero.
Non lo rividi più. Cathay venne a vivere con noi per qualche mese, cercando di darsi all'arte. Darcy mi disse in segreto che non aveva molte possibilità. Traslocò, e lo vidi abbastanza spesso. Ma era deprimente averlo intorno e lui lo sapeva. E in più ammetteva che io rappresentavo le cose che lui stava cercando di dimenticare. Così in realtà non parlavamo molto.
Qualche volta vado a giocare a golf nei vecchio bayou. Sono solo due buche, ma c'è un progetto per ingrandirlo.
Hanno fatto davvero un buon lavoro di rinnovamento.
DOLCE TRISTE REGINA DELLE ISOLE VAGANTI
The Sweet, Sad Queen of the Grazing Isles
di Frederik Pohl
Pohlstars, 1984
Dopo un lungo periodo d'inattività letteraria, in cui si era limitato alla direzione di collane come «If» e «Galaxy», una decina d'anni fa Fred Pohl riprendeva a scrivere, sbalordendo tutti con opere stupende come La porta dell'infinito e Uomo più, e dimostrando una capacità di rinnovamento incredibile in un autore che aveva alle spalle una carriera tanto lunga e luminosa. Soltanto questo Pohl, il Pohl della seconda giovinezza, avrebbe potuto scrivere un romanzo breve come questo: scritto in uno stile vagamente ispirato al compianto Cordwainer Smith, in un futuro al tempo stesso assurdo e affascinante, dove navi grandi come isole traggono succo e minerali dai mari della Terra e dove si snoda bella e avvincente la vicenda romantica di un uomo che cerca di proteggere se stesso e una dolce fanciulla da un fato iniquo e dalle minacce di un morto.
I
Nell'anno duemila e tre, sul mare nata,
al retaggio del padre fu legata.
E nel duemila e dieci Ben, suo fratellastro,
mutò l'eredità di lei in un capestro.
Ebbe amori e li perse, conobbe gioie e pianti,
dolce, triste regina dell'isole vaganti.
Fu perché gli feci un favore che il commodoro mi promise che avrei sempre avuto un lavoro nella Flotta. Io lo presi subito in parola, tant'è vero che ancor oggi mantengo quell'incarico. La mia qualifica, la paga e le condizioni di lavoro sono cambiate dozzine di volte da allora, e ultimamente non proprio in meglio. Ma perfino Jmmi Rex riconosce che ho diritto a quest'impiego e me lo garantisce. Miseramente.
Il favore che feci a James Mackenzie risale a molto tempo prima che diventasse commodoro, e avrei potuto finire in carcere per quella faccenda. — Jason — mi disse, — dammi un mese. Ho bisogno di una proroga nella scadenza del prestito, e se me lo fai avere non dovrai più preoccuparti di nulla finché vivi. — All'epoca io ero un giovanottello poco più che ventenne, un premi-pulsanti nel reparto-dati di una banca. — Invece dovrei preoccuparmi della legge — risposi. — Delle leggi sull'estradizione, se non altro, perché falsificare dati è un reato da codice penale. — Lui rise. — Soltanto se ti prendono — disse. — E non ne avranno la possibilità perché sarai in mare, dove le leggi nazionali non hanno giurisdizione. — In quel periodo stava facendo costruire la sua prima isola galleggiante, capite, e aveva usato tutto il denaro di sua moglie più quello che era riuscito a risucchiare a due suoi sostenitori finanziari. Il terzo sostenitore, quello più grosso, esitava ancora ad addossarsi il rischio.
Anche in quei giorni era un uomo potente, James Mackenzie. A quarant'anni non lo era forse più di molti altri, però disponeva di lampeggianti occhi azzurri e di un sorriso sicuro, e dovunque andasse sapeva come rivolgersi agli uomini con cui voleva parlare. Ma ciò che mi fece decidere non fu la promessa di Mackenzie: fu la sua giovane moglie, Lady Ella. Lo amava molto. Così una notte feci un po' di straordinario e cambiai alcuni dati della sua documentazione, sudando di paura. Ebbe i suoi trenta giorni. E all'ultimo momento il finanziatore arrivò con il denaro per terminare la grande imbarcazione: così James Mackenzie diventò il commodoro.
Era un gran bastardo, il commodoro Mackenzie, però aveva stile. A me toccarono cinquanta azioni del carico e un titolo: Assistente Esecutivo del Comandante della Flotta. Faceva un bell'effetto, anche se la Flotta era ancora composta da un solo vascello. Ma un'isola galleggiante era una macchina possente e costosa, si rimorchiava attorno venti chilometri di tubazioni e pompe, e il ponte avrebbe potuto ospitare una cittadina di piccole dimensioni. Il commodoro fece una cosa da non credersi con quel ponte, o almeno con la parte anteriore: lo coltivò. Quando lo scafo era ancora in cantiere pompò a bordo mezzo milione di metri cubi di fango dal fondale della baia di San Francisco. L'acqua colò via dagli imbrinali e il terriccio rimase. Salpò quindi verso Tacoma per aspirare acqua fredda dalle profondità, e restò nella zona più umida e tempestosa della costa del Pacifico finché la pioggia non ebbe ripulito il fango. A bordo vennero portati semi, alberelli e bulbi, e quando iniziammo la nostra prima crociera avevamo già un prato, giardini e un piccolo bosco; perché la sua amata Lady Ella odiava il mare. La residenza del proprietario era dunque un appartamento nel sottoponte, con una veranda al disopra, e sedendovi lì avreste avuto l'impressione d'essere in una tenuta del continente cinta da siepi e prati, del tutto immobile e rallegrata da un'eterna primavera. Le isole galleggianti non aspettano mai la brutta stagione. Non sono piattaforme ancorate o fissate al fondale: devono andare a cercare i posti dove la temperatura dell'aria e del mare consente loro di funzionare e lavorare al meglio.
Per quattro anni tutto procedette bene, io fui felice e la grande barca navigò lentamente nelle zone più fruttuose nel meridione dell'oceano tirando su il freddo e mettendolo in funzione contro il caldo, e... oh, come affluiva il denaro! Nel quarto anno la nostra felicità giunse al culmine perché Lady Ella rimase incinta. Era una donna fragile, tutto spirito e niente energia, e c'erano giorni in cui perfino il mare più calmo la faceva star male. Ma con la gravidanza rifiorì, tornando deliziosa e splendente. E quando la bambina nacque era ancora più bella della madre. Fu nel mese di maggio, perciò la chiamarono May, ma subito dopo la felicità ebbe termine perché Ella morì. La causa non era stata il parto, dato che i migliori ginecologi venuti da Sidney e San Francisco l'avevano assistita. Fu un cancro. Lei era vissuta con quel segreto negli ultimi mesi e s'era rifiutata di lasciarsi operare perché il chirurgo avrebbe dovuto toglierle anche il feto dall'utero. La fatica del parto fu solo ciò che le tolse le ultime energie.
Sul letto di morte chiese d'essere sepolta sulla terra. Con occhi incapaci di piangere il commodoro andò negli alloggi dell'equipaggio e scelse la moglie di un meccanico, Elsie Van Dorn, una donna placida e robusta dai modi gentili. Quando poi tornò dal funerale prese tutte le azioni della Flotta che erano state di Ella, le trasferì a nome di May, e diede a me un nuovo incarico. — La Van Dorn sarà la sua nutrice — disse, — ma tu sei da ora il suo padrino e la terrai a battesimo. — Questo mi stupì perché il suo unico Dio era sempre stato il denaro. — Ti nomino Direttore Generale della Compagnia May Mackenzie, e se farai qualcosa di sporco ti ucciderò con le mie stesse mani. Anche se io non sarò più vivo la pagherai ugualmente, perché lascerò del denaro, degli ordini e un fucile a qualcuno che ti terrà d'occhio. — Era sempre in debito con me per quel favore, capite, ma non dimenticava come gliel'avevo fatto.
E poi seguirono sette anni in cui May crebbe come un fiore, finché cominciò ad essere quasi una signorinella.
Ci sono bambine con un volto così bello e uno sguardo tanto dolce che fanno breccia nel cuore di chiunque. May era una di quelle. Per la sua età era snella e delicata, ma anche quando muoveva i primi passi era capace di fermarsi nel suo recinto e spingere lo sguardo sul mare oltre le siepi, con la silenziosa nostalgia di un vecchio marinaio: la luce dolce e triste dei suoi occhi mi faceva dimenticare i pannolini sporchi e i capricci. Quando prese a parlare come una personcina adulta e ad allacciarsi le scarpe da sola ero già innamorato di lei. Non era un sentimento di cui riuscissi a ridere, così non dirò di più, ma era una cosa reale: l'amavo in modo puro, sincero, e continuai ad amarla sempre. Non come padrino.
Per quei sette anni, comunque, ebbe l'amore di suo padre. Era l'unica figlia femmina del commodoro, e la sua sola figlia legittima... la sola, in ogni modo, che io conoscessi, perché l'altro suo figlio, illegittimo, a quei tempi era a scuola e in seguito s'impiegò negli uffici a terra della Flotta. Il commodoro non aveva un momento libero in tutto il giorno, però trovava sempre il tempo di stare un po' con May, di giocare con lei e di rimboccarle le coperte alla sera. Io ero alquanto meno indaffarato. Non c'era molto lavoro per il Direttore Generale della Compagnia May Mackenzie, visto che ogni suo centesimo era investito nella Flotta: dapprima due isole galleggianti, poi sette, quindi una dozzina. Il denaro affluiva, ma ogni dollaro veniva subito reinvestito. Così ero in competizione con Elsie Van Dorn, e diventai la seconda bambinaia di May. Furono gli anni più belli che avessi mai vissuto; me la portavo dietro per tutta l'enorme imbarcazione. Guardavamo le navi cisterna attraccare al nostro scafo per ricevere nel loro ventre capace l'ammoniaca da noi prodotta, tenendoci un fazzoletto sul naso per non sternutire, e ascoltavamo i sibili dell'idrogeno che pompavamo nelle navi frigorifero, mentre le luci rosse lampeggiavano per ammonire di non accendere fiammiferi e non creare scintille... come se nella Flotta ci fosse qualcuno tanto idiota! Scendevamo attorno alle grandi turbine a bassa pressione che trasformavano il calore in elettricità, e dalla poppa gridavamo grandi saluti agli equipaggi dei battelli da esplorazione che partivano in cerca di superfici più calde e fondali più freddi verso cui fare rotta. Ogni membro dell'equipaggio conosceva May e la coccolava quando lei lo permetteva. Non era un vero e proprio equipaggio, quello: era una piccola città. Avevamo gli addetti alla centrale elettrica, chimici e agronomi, oceanografi, macchinisti, ufficiali di rotta, cuochi, uomini tuttofare, cinque pompieri, ufficiali alle macchine e squadre di meccanici, e perfino giardinieri e contadini per le coltivazioni sul ponte. In tutto, a bordo c'erano oltre milleottocento esseri umani, e credo che May li conoscesse tutti per nome. Ma io ero quello che le stava più vicino: ero il suo padrino e il suo amico. I bambini erano un centinaio, e quattro ragazzine della sua età divennero le sue amiche del cuore, ma io continuavo a essere una persona speciale per lei.
E poi, una mattina, il commodoro venne a colazione nella camera di May, come faceva spesso quand'era a bordo. Sembrava sfinito; ammise d'aver dormito male quella notte, poi ad un tratto cadde in avanti con il volto nel piatto e morì.
Perdonai il commodoro per essere morto a quel modo; non fu colpa sua ed è una cosa che accade a tutti. Ma non gli perdonerò mai d'essere morto lasciando un testamento a causa del quale Ben, il suo figlio bastardo, fu legalmente insignito del compito di essere il guardiano di May finché non fosse giunta al trentesimo anno d'età.
Ben arrivò a bordo prima che il corpo del commodoro fosse freddo, e si sistemò nelle sue stanze prima che l'odore del suo sigaro si fosse dissolto. Il testamento gli conferiva l'uso delle azioni con diritto di voto appartenenti a May. Io avrei potuto proibirgli di vendere o frazionare il patrimonio; avrei potuto riscuotere i dividendi e utilizzarli come credevo meglio... ma dove avrei trovato un investimento migliore delle isole galleggianti?
In ultima analisi, dunque, non potevo fare niente.
Per un mese, poi, sussultai ad ogni ombra, ad ogni minimo rumore alle mie spalle in attesa del sicario pagato dal commodoro, ma costui non comparve. Ebbi però la prova della sua esistenza quando giunse una lettera dalla Nuova Guinea per posta aerea. Diceva soltanto: Non è stata colpa tua, questa volta.
Il commodoro ruppe così non una, ma due delle promesse che mi aveva fatto. La prima era stata quella che riguardava il sicario se non avessi tutelato a dovere gli interessi di May, e sapevo di aver fallito in quel compito, ma non fui ucciso. La seconda era il suo impegno che non avrei dovuto preoccuparmi mai più di niente, mentre invece da quel giorno e per vent'anni di fila non feci altro.
II
Vent'anni e uno fu la sua età di sposa,
ma non fui io cui sorrise radiosa.
Ed a ventidue anni la fanciulla
d'un cupo e asprigno infante empì la culla.
Lo crebbe e lo allevò e gli fu vicina
dell'isole vaganti la regina.
Quando May compì quindici anni, la Van Dorn tornò a lavorare in sala macchine e May partì per la scuola. Portò con sé le amiche con cui era cresciuta, quelle che chiamavamo le altre quattro May, ma Ben non mi permise di andare con loro. — Se vuoi mantenere il tuo lavoro e la tua paga, Jason — ringhiò, — bada di lasciar stare mia sorella May. Quando sarà pronta per amare un uomo sceglierà un giovanotto ricco, bello e istruito, non un vecchio sporcaccione che dorme con le sue calze sotto il cuscino. — Questa era una bugia, e glielo urlai in faccia. Ma tutto il resto era vero: il mio amore era sempre lì. Se May avesse avuto cinque anni di più... se in quel momento avesse avuto anche un solo anno di più le avrei rivelato i miei sentimenti prima che partisse. E forse non mi avrebbe risposto un no. Fra noi c'erano trent'anni di differenza, certo, e non ero precisamente bello. Ma lei s'era sempre sentita a suo agio con me, si fidava di me, e non per caso.
Così Ben il Bastardo venne a insozzare la residenza del proprietario, con la sua moglie giallognola e la loro tozza figlia giallognola, Betsy, a cui non ero mai piaciuto. Potete stare certi che la ricambiavo. L'intera famigliola mi ripugnava. Non avevo mai conosciuto la madre di Ben, anche se sapevo chi era: un'impiegata negli uffici di un avvocato, che il commodoro aveva circuito pur di gettare uno sguardo su alcuni documenti che per lui significavano denaro. Lui aveva gettato lo sguardo; lei s'era tenuta il bambino. Ovviamente al commodoro non era passato neppure per la testa di portarla all'altare, visto che lei non aveva il becco d'un quattrino, e al momento del parto era già lontano e dimentico della cosa. Ma devo dire che il commodoro poi riconobbe questo suo figlio. Pagò un assegno mensile per mantenerlo, anche quando tirar fuori i soldi era duro. Lo mandò a scuola e infine gli diede un impiego nella Flotta, anche se non in mare. Tuttavia non volle che avesse il suo nome.
Perciò fu Benjamin (che significa Dono di Dio) Zoll (il cognome della madre) che quel giorno venne a bordo con in tasca il testamento e nel cuore la ferma volontà di regnare sovrano.
Be', aveva qualcosa di più che la semplice arroganza. Era un uomo dall'animo gretto, ma un accanito lavoratore. Il primo giorno era già attorno allo scafo in tuta da sommozzatore, e nelle saldature dei serbatoi poppieri scoprì alcune fessure che lo resero furibondo. Prima di sera venti addetti alla manutenzione erano stati licenziati. I nuovi assunti rigarono dritto, e devo dire che mettemmo fine a quella che era stata un perdita di migliaia di dollari alla settimana.
Un'isola galleggiante con i generatori a energia termica vive della differenza che c'è fra la temperatura dell'acqua di fondo e quella di superficie. Quest'ultima scalda il fluido di lavoro, un alocarbonato con bassissimo punto d'ebollizione il cui vapore finisce nelle turbine a bassa pressione. Queste producono elettricità, che usiamo per scindere idrogeno dall'acqua ed estrarre azoto dall'aria, vendendo poi sia questi prodotti sia altri derivati. La difficoltà sta nel fatto che l'alocarbonato è un fluido troppo costoso e non lo si può lasciare a contatto dell'aria. Dev'essere condensato e poi riciclato, cosa per cui occorre una bassa temperatura. Il mare ci dà anche questa. Ci sono immense correnti fredde a livello del fondale, raramente a meno di cinquecento metri dalla superficie, così dobbiamo pompare incessantemente. Pompare acqua fredda dalle profondità, pompare il fluido di lavoro nei collettori solari, pompare acque negli impianti elettrolitici dove si produce il gas, pompare il gas nelle navi frigorifero che lo portano via... su ogni cento kilowattore di energia da noi prodotta, novantasette servono per far funzionare gli impianti.
Ma quello scarto del tre per cento basta a farci ricchi, perché una volta ammortizzate le spese di costruzione un'isola galleggiante resta sempre all'attivo.
Ben Zoll non aveva mai lavorato a bordo, così aveva molto da imparare: fece in fretta. Dal commodoro non aveva ereditato il nome, ma le sue capacità organizzative erano le stesse.
Il nome ce l'aveva May. E Ben il Bastardo le lasciò soltanto quello, bloccando le sue azioni con diritto di voto e tenendola fuori dal consiglio d'amministrazione della Flotta.
Non si può dire che le lesinasse il denaro: May ebbe le scuole migliori, istruttori d'equitazione privati, un guardaroba che avrebbe fatto invidia a una principessa. Per Ben non era un sacrificio inviarle assegni da capogiro. Sui cinque continenti miliardi di persone consumavano insaziabilmente l'idrogeno e i prodotti ammoniacali che noi fabbricavamo. Sotto Ben il Bastardo la Compagnia prosperava.
E anch'io, perché le mie cinquanta azioni sul carico mi avevano già reso milionario. Avrei potuto fare a meno di lavorare, comunque preferii restare a bordo della vecchia O.T. Dove sarei stato meglio? Nessuna persona intelligente si sarebbe mischiata ai miliardi d'individui che si affastellavano sui continenti. A terra imperversava la criminalità, e la vita della gente era caotica e stressante. Io m'ero ormai abituato alla tranquillità garantita dalle Leggi del Mare...
E inoltre, ogni tanto May veniva a casa per una visita.
Non si faceva vedere molto spesso, è vero. Ma c'erano le vacanze scolastiche. Ogni volta che aveva qualche giorno a disposizione si sobbarcava le cinque o sei ore di volo che occorrevano per raggiungerci dal Massachusetts all'Arcipelago di Bismarck, o al Mar dei Coralli, o dove altro eravamo. E d'estate restava con noi per varie settimane. Non veniva da sola: con lei tornavano sempre le altre quattro May per rivedere le loro famiglie e riposarsi lontano dalla folla della terraferma. Erano delle bellissime ragazze, capaci di far strage di cuori... e suppongo che questo facessero. C'era Maisie Richardson, bionda, atletica, piena di salute e di vitalità; e poi Ellamay Holliston-Pierce, la figlia del nostro oceanografo, dai grandi occhi azzurri e innocenti, timida e delicata; e la flessuosa Tse-Ling Mei, che divenne una stella del cinema; e May Sue Bancroft, bruna e riflessiva, la più saggia del gruppo. E poi c'era May: la mia May. Era sempre la più bella di tutte. Avevano praticamente la stessa età, May e le altre quattro May, e quando passeggiavano sulla vecchia O.T. nell'aria si spandevano tutti i colori e i profumi della primavera! Diverse com'erano, chi non era attratto dall'una s'innamorava dell'altra, ma ognuna era amabile e fatta per l'amore. Per lo più stavano fra loro, chiacchierando e ridendo delle loro cose, ma scambiavano battute anche con i membri dell'equipaggio, e se un giovanotto si lasciava scappare una parola di troppo erano sempre pronte a perdonarlo con un sorriso.
E poi c'era Betsy.
Betsy Zoll. La cagna figlia di quel bastardo di Ben. Se fosse possibile rimescolare il materiale con cui sono costruite due ragazze, e dare tutta la bellezza e tutte le virtù a una soltanto — diciamo, a May — ciò che resterebbe di quel materiale sarebbe Betsy Zoll. May era limpida come un diamante, Betsy era un pezzo di vetro fangoso. Quando May non era a bordo, Betsy se ne andava in giro atteggiandosi a principessa reale, e ogni tanto aveva una giornata buona in cui sembrava recitare dignitosamente la parte. Ma era un'impressione, e comunque all'ombra di quei cinque diamanti il pezzo di vetro perdeva anche quel poco lustro che aveva. Con lei erano gentili e simpatiche, desiderose di mostrarle che gradivano la sua compagnia, sempre sorridenti. Betsy le invidiava al punto che avrebbe affondato l'isola galleggiante solo per vederle affogare.
E poi venne un Natale in cui Betsy fu tutta sorrisi mielati e trionfanti.
Quando la vidi arrivare compresi che doveva aver girato dappertutto per cercarmi, perché ero giù in sala macchine a controllare cosa c'era di vero nella voce secondo cui occorreva un generatore nuovo. — Ebbene, Jason — disse, irraggiando tanta letizia che m'insospettii, — che farai di bello per Natale?
L'ingegnere e il direttore di macchina erano poco distanti e ci guardavano, parlando a sussurri, anche se nessuno ha bisogno di sussurrare quando le turbine a bassa pressione gli rombano negli orecchi. Le augurai cortesemente buon Natale, poi telefonai al mio ufficio per comunicare dove mi trovavo... più che altro per evitare di parlare con lei; ma stupito vidi che mi restava accanto, e quando appesi ridacchiò. — Dalla settimana prossima questo ti costerà un quarto di dollaro — disse.
Che portava brutte notizie l'avevo capito, naturalmente, ma quella non me l'aspettavo. — Bisognerà pagare per il telefono di bordo?
Lei arricciò le labbra e inclinò la testa. — Oh, sì. Per il telefono, per i tuoi schermi video e per ogni volta che girerai un interruttore — disse, con una luce di compiacimento negli occhietti bruni. — Mio padre dice che è tempo che l'equipaggio paghi l'elettricità che consuma, dice. Cinquanta cents a kilowattora, per cominciare, dice.
— Ma non ha senso!
— I dollari hanno senso — mi corresse lei. — Questa elettricità è nostra, vecchio. E costa denaro. Perché dovremmo regalarla quando la possiamo vendere?
Mi feci indietro perché aveva avvicinato il volto e il suo alito era acido come quello di un cane. Betsy aveva quindici anni, ma la freschezza giovanile in lei non era mai esistita. — Noi non vendiamo elettricità, Betsy: solo quello che produciamo con l'elettricità. Se volessimo venderla dovremmo dedicare più spazio ai processi di conversione, e questo spazio dov'è?
— Ottima domanda, vecchio — disse lei, trionfante. — Mio padre ha già pensato a tutto, naturalmente. Per cominciare, sotto il ponte di prua ci sono migliaia di metri cubi di spazio sprecato. Sposteremo lì un impianto per l'elettrolisi, e al centro resterà più spazio per la produzione di ammoniaca e...
— La residenza del proprietario! — ansimai.
— Vecchio — dichiarò lei, — la gente come noi non può vivere per sempre in stanzucce piene di tubature. Presto avremo finito di costruire un'isola galleggiante dieci volte più grossa di questa: sposteremo la bandiera su un'altra ammiraglia.
Dunque le chiacchiere di bordo non erano soltanto chiacchiere, e la realtà era ancora peggiore. Ma ancora non sapevo quanto peggiore, perché Betsy aveva tenuto per ultimo il vero motivo della sua visita. — Quando May verrà a casa per Natale, vedremo cos'avrà da dire — sbottai, ricordando che sul testamento del commodoro si parlava anche di quegli appartamenti, proprietà privata di May. E con quella frase le diedi il pugnale con cui colpirmi.
— Quando May verrà a casa per Natale — mi parodiò lei con una smorfia sprezzante, — ciò che vedremo è che lei non verrà per niente a casa per Natale. Oh... ma Jason! Non mi dirai che la signorina non ti ha parlato del suo fidanzato, vero? Perché, guarda un po', si è proprio fidanzata. Con un certo Frank Appermoy. E trascorrerà il Natale con lui, a casa di sua madre.
E May non mi aveva scritto una parola! come Betsy sapeva bene. Senza curarsi di celare la soddisfazione gettò un'eloquente occhiata al suo orologio e assunse un tono ironicamente affettato. — Data la differenza di fuso orario — proclamò, — possiamo presumere che giusto in questo momento stia saltando nel letto del suo amante, con vista sul mare delle Hawaii. Che rospo da ingoiare, eh, vecchio? — volse le spalle e se ne andò, lasciandomi lì come annichilito.
Tornato in ufficio, la prima cosa che feci fu di chiedere tutti i dati di cui disponevamo su Frank Appermoy e il resto della sua parentela. La seconda, mentre aspettavo le informazioni sul monitor, fu di chiamare per visifono May alla villa degli Appermoy sull'isola maggiore delle Hawaii. Sulla costa di Kona erano le dieci di sera, e secondo il maggiordomo che mi rispose Miss May e Padron Frank erano a Luau, e non erano attesi di ritorno prima di due ore. Così lasciai detto che mi chiamassero e mi feci stampare i dati richiesti.
Sapevo già che gli Appermoy erano ricchi. E sapevo anche che ci facevano — o tentavano di farci una certa concorrenza, benché la loro produzione annua di composti azotati e idrogeno fosse inferiore a quella della nostra più piccola isola galleggiante. D'altro canto sfruttavano procedimenti industriali molto diversi.
Il denaro degli Appermoy proveniva però principalmente dalle scorie radioattive. Il vecchio Simon Appermoy non era stato meno astuto e ingegnoso del commodoro. Aveva fatto i suoi piani, quindi aveva firmato contratti con una mezza dozzina di nazioni per lo smaltimento dei rifiuti delle loro centrali elettriche a energia atomica. Subito dopo aveva acquistato due cime montuose che emergevano dal fondale dell'Oceano Pacifico, in coda alla catena delle Hawaii, isole vulcaniche spianate completamente dalle onde milioni di anni fa. Se lo stato sovrano delle Hawaii avesse il diritto di vendere isole a privati è un'altra questione, e se un privato avesse il diritto di riempirle di scorie radioattive è un'altra questione ancora, ma la faccenda dei diritti non preoccupava il vecchio Appermoy... e il motivo lo spiegherò fra poco. Fatto ciò scavò fosse alla sommità delle due piatte e consunte isole, e vi seppellì il materiale radioattivo dopo averlo vetrificato.
Quei contratti per lo smaltimento dei rifiuti sarebbero bastati ad arricchirlo, ma fu solo l'inizio. Il suo successivo era stato il mettersi in concorrenza con noi.
Qualche genio misconosciuto sul libro paga di Appermoy l'aveva informato che tutta quella radioattività, sepolta su cime sommerse a poche centinaia di metri sotto la superficie, avrebbe provocato un surriscaldamento dell'acqua e una conseguente forte corrente ascensionale e la corrente poteva essere sfruttata con turbine azionate ad acqua. Questo fu ciò che Appermoy fece, costruendo un impianto per la produzione di energia elettrica e usandola per ottenere azoto dall'aria e idrogeno con l'elettrolisi. Ma non sfruttò la corrente ascensionale solo per questo, dato che risalendo essa portava alla superficie i detriti organici del fondale accumulatisi in milioni di anni. Se voi vi trovaste quella roba sul pavimento del soggiorno la spazzereste via, disgustati; ma se ve la trovaste nel giardino sarebbe la delizia del vostro cuore, perché è l'humus più ricco del pianeta. E mentre viene alla superficie nutre i microrganismi che nutrono il krill che nutre i pesci. Appermoy ci aveva messo poco a trasformare quei bassi fondali nelle zone più ricche di pesce dell'oceano, e questo gli aveva portato altri soldi nelle tasche. In quanto al genio che suggerì questo progetto, non so quale premio Appermoy gli abbia dato. Molto probabilmente gli ha regalato un paio di scarpe nuove, in solido cemento, e lo ha mandato giù su quei fondali a supervisionare il fango che lentamente risale a galla.
Il sistema funzionava, anche se il principio su cui si basava era quasi l'opposto del nostro. Noi pompavamo su acqua fredda, usandola per far condensare di nuovo il liquido a basso punto d'ebollizione. Appermoy scaldava l'acqua del fondale con i suoi rifiuti radioattivi, per ottenere gli stessi nostri prodotti industriali e inoltre ricavare migliaia di tonnellate al giorno di pesce, che rivendeva sul continente con buon guadagno.
Dunque era una famiglia ricca; ma non certo una famiglia onesta. Il loro impero era fondato sull'inquinamento delle acque oceaniche, ed era nato da denaro ancor più sporco e velenoso. Appermoy se l'era infatti procurato — come il commodoro — con il matrimonio ma, mentre il commodoro aveva sposato una Lady, Appermoy aveva impalmato l'erede di quattro generazioni di capi della Mafia. Non c'è bisogno di dir altro per spiegare come aveva ottenuto i contratti e gli appoggi necessari. E questo spiega anche perché nessuno cercava di scalzarlo dal mercato. Altri avevano acquistato isole sommerse di quel genere, ma non erano riusciti a procurarsi i permessi necessari oppure era accaduto loro qualche incidente.
Se la sua famiglia aveva le mani sporche, mi mancavano però gli elementi per poter dire lo stesso di Frank. Nei dati di cui disponevamo non risultavano peccati di alcun genere, a meno che non si voglia definire peccato la fissazione per il gioco del polo. Comunque non rientrava nelle peculiarità di Ben Zoll, salvo che nella prima. Perché ricco lo era. Ma non si può chiamare istruito uno il cui solo scopo nella vita è di colpire una pallina stando sulla groppa di un cavallo, e certamente non era possibile definirlo bello. Uno dei suoi quadrupedi lo aveva disarcionato, passandogli con gli zoccoli sulla faccia. Dai dati in archivio risultava che non s'era ancora pienamente rimesso, e c'era anche una fotografia che lo confermava. Benché il lato destro del suo volto fosse stato rifatto a nuovo, qualcosa nei lineamenti non tornava. Non dico che sembrasse disgustoso o repellente, però nessuno avrebbe potuto chiamarlo bello... neppure sua madre e tutta la stirpe di mafiosi e criminali da cui discendeva.
E tuttavia la mia May aveva deciso di sposare quell'uomo.
Gli esploratori ci avevano trovato un'ottima corrente fredda su cui operare, a sud delle Filippine, e la stavamo sfruttando bene. Ogni grado in più, nella differenza fra la temperatura di fondo e quella di superficie, assume un gran valore quando si lavora con margini ristretti come i nostri. Così ci trovavamo a migliaia di chilometri ad ovest delle Hawaii e venne buio prima che May e il suo damerino mi chiamassero. Ero seduto sulla mia piccola veranda e fissavo la Croce del Sud, rimpiangendo amaramente di non avere vent'anni di meno, quando il visifono squillò.
Ed eccoli lì sullo schermo, tutti e due. Lui le teneva un braccio attorno alle spalle e mi sorrideva di un distorto — ma non diabolico — sorriso, e May aveva l'aria di scusarsi ma appariva radiosa. — Oh, zio Jason, tutto è successo così in fretta! — esclamò. Era la prima volta in vita sua che mi chiamava zio. — Avrei voluto chiamarti cento volte, ma...
— Non fa niente — mentii.
— Tu verrai al matrimonio, non è vero? Ti prego!
Come se ci fossero dubbi sulla cosa! Ma il giovanotto aggiunse doverosamente la sua preghiera: — Lei è la sola famiglia di May, signore. — Nessuno degli amici di lei mi aveva mai chiamato signore, dovevo ammetterlo. — Mia madre dice che sarà una seconda mamma per lei. Ha sempre desiderato avere una figlia, e Dio sa, signore, quanto io desideri la felicità di May. Perciò non sarebbe giusto che ci sposassimo se lei non fosse qui con noi.
Il reato che avevo commesso era caduto in prescrizione da molti anni, ma non avevo nessuna voglia di rimetter piede sulla terraferma, neppure su un'isola. Specialmente su un'isola di proprietà degli Appermoy. Ma lui bloccò ogni mia obiezione: — Deve venire, signore, perché tutti noi vogliamo che sia lei a condurre la sposa all'altare.
E così gliela condussi all'altare.
La condusse lungo il sentiero fiorito di fronte alla grande villa di South Point, con il Kilauea che fumava quasi dietro la casa. May portava un lei intorno al suo collo vellutato; il prete aveva un microfono fissato al colletto per far sì che i quattrocento invitati udissero ogni parola; e Betsy mi sorrideva odiosamente dalla prima fila di sedie. Ma lo sposo era pallido e zuppo di sudore, perché pochi minuti prima della cerimonia aveva avuto una specie d'attacco di convulsioni. Aveva modi abbastanza piacevoli il giovane Frank Appermoy. Ma io odiavo l'idea di condurre May all'altare per consegnarla a un altro, fosse di modi piacevoli o spiacevoli, fosse ricco o povero, giovane o vecchio. E specialmente a uno che, per quanto ne sapevo, ogni tanto cadeva preda di convulsioni o terribili mal di testa. Desideravo soltanto che lo zoccolo di quel cavallo avesse premuto un po' più forte.
Non so se furono felici oppure no: suppongo che lo siano stati. L'anno dopo ebbero un bambino, James Reginald Appermoy, e neppure dodici mesi più tardi qualcosa nel cervello lesionato di Frank cedette. La mia May restò dunque vedova all'età di ventidue anni. E quella strega della suocera disse che era stata lei a ucciderlo.
A ventun'anni sull'altare ella sorrise,
ma il lutto all'abito assai presto mise.
La falsa madre la chiamò assassina,
la falsa sorella pregò per la sua rovina.
L'attendeva una vita d'inganni e tradimenti,
dolce sfortunata regina dell'isole vaganti.
May non poteva restare alle Hawaii con la vecchia suocera Appermoy che faceva circolare calunnie scandalose sul suo conto. Ben il Bastardo la invitò a tornare a casa. Non all'isola galleggiante su cui era cresciuta, dove gli alloggi erano stati tolti per far posto ad altri impianti per l'elettrolisi, ma alla residenza costruita sull'ultima e più grande isola di nuova costruzione. Due milioni di tonnellate di stazza! Adesso era davvero possibile definire isole quelle imbarcazioni, e sul ponte di prua la tenuta del proprietario avrebbe ospitato non una ma una dozzina di famiglie numerose. Malgrado questo dapprima Ben dichiarò che per me non c'era posto a bordo, con il solo scopo di costringere May a pregarlo. — Oh, be' — cedette poi, fingendo un impulso generoso, — almeno si renderà utile cambiando i pannolini al bimbo. Gli troverò una stanza negli alloggi dell'equipaggio.
Negli alloggi dell'equipaggio! Io che amministravo tutte le proprietà personali di May, e che possedevo cinquanta azioni con diritto di voto. Solo un quarto della Flotta era intestato a Ben, mentre May era la proprietaria degli altri tre quarti, e tuttavia questo non ci serviva a molto: Ben aveva dalla sua il testamento, e poteva usare il diritto di voto delle azioni di May finché lei non avrebbe compiuto trent'anni. Io non riuscivo a capacitarmi che il commodoro avesse inserito una clausola così assurda. Ma quando feci una capatina a Reykjavik per consultare un avvocato, al Tribunale del Mare, mi fu detto che non c'era speranza d'impugnare il testamento. Al ritorno raccontai a May una bugìa, preferendo non dirle dov'ero stato e cos'avevo cercato di fare.
Ma la giovane donna non mi domandò niente. In quei primi mesi era totalmente assorbita dal bambino, se lo coccolava, cantava per lui, lo accudiva... e faceva una vita stressante, perché già allora il piccino era la più insopportabile e capricciosa creatura che avessi mai visto. May trascorreva le giornate nel giardino o sul bordo della grande piscina ovale, cinta da palme, con Jimmy Rex che frignava fra le sue braccia o frignava sul suo lettuccio lì accanto. Io ero sempre nei pressi per alleggerirla del lavoro o farle compagnia. E Betsy non mancava mai di comparire, esibendo gioielli e abiti costosi, di cattivo gusto, tallonata dalla piccola corte di avidi e striscianti giovanotti che erano suoi ospiti tutto l'anno. Sempre con un occhio invidioso su May e sul bambino.
Non ci voleva molto a capire ciò che voleva: qualunque cosa May avesse, Betsy gliela invidiava. Aveva perfino desiderato quel superficiale e sofferente Frank Appermoy... e l'aveva avuto, se non altro per il tempo di qualche salto sul suo lussuoso letto, come s'era affrettata a farmi sapere poi. E ora voleva il piccolo Appermoy. Dapprima avevo creduto che desiderasse semplicemente un bambino: non le sarebbe stato difficile farne uno, con tutti quei cicisbei che le stavano attorno. E m'ero detto che a scoraggiarla era stata l'idea che avrebbe dovuto sposare uno di costoro, e soprattutto il pensiero dei disagi della gravidanza e del parto. Ma mi ero sbagliato. Quello che lei voleva era James Reginald Appermoy, con tutte le sue coliche e i suoi strilli. E lo voleva per il solo motivo che lui era di May.
Così per sei o sette mesi May fu la perfetta immagine della giovane madre premurosa, mentre Rex era la perfetta immagine del lattonzolo molesto, opprimente e insopportabile. Poi il bambino fu svezzato, e lei parve tornare a contatto con il mondo. Forse cominciò a capire che era sola. Io ero l'unico vero amico che avesse a bordo. Non per colpa sua: se qualcuno dei circa settemila dipendenti di quell'isola cominciava a diventarle amico, Betsy lo riferiva a Ben e la persona in questione veniva trasferita. Perfino le altre quattro May potevano venire a bordo solo per un paio di giorni alla volta, sobbarcandosi un lungo viaggio in aereo all'andata e al ritorno perché in quel periodo ci trovavamo in pieno oceano. Così non mi meravigliai quando la mia dolce fanciulla prese a cercare un po' di distrazione molto lontano da lì: un party a New York, una caccia alla volpe in Inghilterra, un po' di sci in Svizzera, o la stagione teatrale a Tokio o a Parigi. Se stava via pochi giorni lasciava a me il piccolo Jimmy Rex, e io ce la mettevo tutta per essere affettuoso. Se l'assenza era più lunga lo portava con sé, e mi trovavo senza niente da fare e nessuno a cui parlare: anche i miei amici subivano molti e improvvisi trasferimenti. Avrei desiderato un'altra Elsie Van Dorn, o la stessa Elsie, però lei in quel periodo lavorava come motorista sulla vecchia isola galleggiante, e non volevo vederla coinvolta nelle angherie di Ben. Provai perciò con una successione di ragazze raccolte nelle cucine o negli uffici, nessuna delle quali resistette per più di un paio di settimane. Rimandai al loro lavoro quelle che non erano abbastanza robuste e pazienti da sopportare il piccolo demonio, mentre Ben trasferiva regolarmente quelle che invece sarebbero state adatte.
E cominciarono ad arrivarmi delle lettere anonime. Una al mese. Alcune provenivano dall'Australia, altre da Seul o da Città del Capo, ma tutte contenevano lo stesso avvertimento: Se ci tieni alla vita, aiutala. Adesso.
Ma cos'avrei potuto fare?
Non avevo bisogno dello sconosciuto sicario per sentire la necessità di aiutare la mia May. Trovai una scusa per assentarmi di nuovo, e stavolta riuscii a consultare un avvocato migliore, o semplicemente più costoso. Non si limitò a dirmi che il testamento del commodoro non poteva essere impugnato: mi diede due giorni del suo tempo, illustrando le Leggi del Mare e citando casi precedenti. La sua parcella fu superiore a quella del primo avvocato, le sue conclusioni identiche: Ben aveva la legge dalla sua fino al trentesimo compleanno di May.
Fu la sola volta in cui andai sulla terraferma, quell'anno. Avrei voluto seguire May in uno dei suoi viaggi per scoprire se lontano dall'isola galleggiante se la sentisse di parlare più liberamente della questione, oltreché, a dire il vero, per il piacere di starle vicino. Lo avrei fatto, non avrei chiesto di meglio che poterlo fare... se almeno con una parola o con uno sguardo lei mi avesse fatto capire che voleva il mio aiuto. Quella parola non venne mai; lo sguardo, forse.
Era di partenza per New York con il bambino, quel giorno. Io portai in braccio Jimmy Rex fino alla pista dov'era in attesa uno dei jet della Compagnia, e presso la scaletta le diedi i suoi documenti. — A New York per la stagione teatrale! Non sapevo che tu amassi tanto l'opera lirica — dissi, e May mi sorrise.
— Un po' di cultura non farebbe male neppure a te, Jason, caro — sospirò. Poi tacque, e si volse a guardare pensosamente il mare caldo e immenso. Conoscevo bene quello sguardo. Quasi mi sarei aspettato di vederla mettersi il pollice in bocca, seduta a gambe incrociate su un'aiuola come quand'era bambina, malinconicamente perduta nei silenzi dell'orizzonte lontano. Il pilota aveva terminato i suoi controlli e ci stava guardando con impazienza perché doveva rispettare un orario di volo, ma May restò a fissare l'oceano per dieci minuti buoni. Quando si volse ebbi l'impressione che fosse sul punto di parlarmi.
Non disse nulla. Il suo sguardo si spostò su qualcosa alle mie spalle e cambiò idea. — Arrivederci, allora, caro Jason — disse, e mi baciò. Si fece consegnare il bambino e scomparve nel velivolo.
Mentre indietreggiavo per allontanarmi dal jet inciampai nella persona la cui vista l'aveva azzittita. Era Ben, il fratellastro. Malgrado fosse appena una dozzina d'anni più anziano di May appariva logoro, teso e irritabile. Accanto a lui c'era Betsy, con una smorfia impermalita sul volto.
Il getto d'idrogeno ardente sibilò, spinse nel cielo l'aereo e si fece troppo accecante per consentire agli occhi di seguirlo. Betsy si volse a me. — Eravamo venuti per augurarle buon viaggio — sbottò acidamente, — ma sembra che May non sprechi molta cortesia con la famiglia.
Il velivolo era a un chilometro di quota e continuava a salire. Ben si schermò gli occhi con una mano per seguirne l'allontanamento. — Jason — disse, senza guardarmi, — parliamo un po' d'affari. Voglio comprare le tue azioni.
— Può anche darsi che tu voglia — annuii, — però io non le vendo.
Mi fissò a occhi socchiusi. Era lo sguardo di chi ha messo a posto alcuni tasselli di un puzzle, ma non abbastanza da farsi un'idea del disegno. — Ti sei divertito nella tua piccola vacanza in Islanda? — chiese.
Non avevo mai dubitato che mi facesse spiare, così non mi presi la briga di rispondere. Lui continuò: — Te le pagherò molto più del loro valore di mercato.
— Per me valgono ancor più di quel che possono valere per te, Ben — dissi, e gli volsi le spalle. Mentre mi allontanavo lo sentii tossire spiacevolmente. Era un uomo malato.
Tornai nel mio alloggio e cominciai a studiare gli inutili documenti legali fornitimi dall'avvocato, ma avevo la testa altrove. Parte dei miei pensieri giravano intorno a May, come sempre; parte di essi riguardava però Ben. Non potevo augurare niente di bene al Bastardo, tuttavia non lo volevo morto. Sapevo chi avrebbe ereditato le sue azioni. E l'avvocato di Reykjavik mi aveva detto che Ben poteva trasmettere a ogni erede l'incarico di guardiano di May... anche se l'erede era più giovane di lei e nonostante l'assurdità della clausola.
Ma non riuscivo a togliermi dalla testa la certezza che May avrebbe voluto dirmi qualcosa prima di partire, così decisi di sapere cosa. Tre giorni più tardi dissi al mio segretario di prendersi una settimana di vacanza, poi presi il volo con lo stesso aereo.
In quel periodo stavamo costeggiando le Filippine, e il jet mi sbarcò a Manila. Da lì un volo orbitale mi portò al grande terminal galleggiante fuori Sandy Hook, quindi presi un elicottero fino al tetto del mio albergo.
La terraferma non mi piace. E non mi piace la folla, con i suoi rumori e i suoi odori: detesto l'atmosfera delle città. Avevo preso un appartamento nello stesso albergo dove alloggiava May, e non avevo intenzione di uscirne che per far visita a lei. Così, appena mi fui lavato e cambiato, uscii in corridoio e l'ascensore mi portò una dozzina di piani più in alto. Bussai alla sua porta. Ad aprirmi venne Tse-Ling Mei. — Zio Jason! — esclamò, sorpresa e felice ma con un filo d'ansia per la mia imprevista comparsa. — Oh, cielo! Entra, ti prego!
Nell'appartamento c'erano le altre quattro May. E c'era anche il piccolo Jimmy Rex, che nella sua stanzetta strillava a più non posso rifiutando di fare il suo sonnellino, ma la mia May non era in albergo.
Le ragazze s'affrettarono a farmi sedere e mi si affollarono attorno, belle e profumate come fiori di campo. — Gradisci un po' di tè? — chiese Mei, e — Hai mangiato? — s'informò Maisie, e — Quello di cui Jason ha bisogno è un buon drink — fu la diagnosi di May Sue Bancroft, mentre Ellamay Holliston-Pierce esclamò invece: — Oh, per favore, raccontaci le ultime novità della Flotta!
Così chiacchierammo per un po' e cominciai a rilassarmi, anche se m'infastidiva vedere che le ragazze sembravano non avere idea di quando May sarebbe rientrata. Poi May Sue Bancroft gemette: — Oh, all'inferno! — Ci voltammo a guardare cosa succedeva. Sulla soglia del soggiorno c'era Jimmy Rex, scappato in qualche modo dal suo lettuccio e venuto non tanto a curiosare quanto a darci dei dispiaceri: in una mano teneva il pannolino asciutto che s'era levato, e con l'altra si stava aiutando, deliberatamente, a orinare sul costoso tappeto Aubusson. Capite ora che imprevedibile estrazione a sorte sia il mettere al mondo un figlio? Se ci fosse andata bene avrebbe preso da sua madre; ma perfino se avesse preso dal padre non sarebbe stato nulla di peggio che uno sciocco. Invece, nella caotica lotteria dei geni e dei cromosomi lui aveva estratto l'anima della sua nonna materna, quella cagna perversa, e ancora non sapevo fino a che punto mi avrebbe fatto soffrire.
Quel che fece quel giorno, comunque, fu di rovinare l'umore a tutti quanti. Mi alzai per andarmene. Tse-Ling Mei aveva agguantato il piccolo mostro, mentre Maisie tentava di rimettergli il pannolino ed Ellamay era corsa nel bagno in cerca di una spugna per salvare il tappeto. May Sue Bancroft invece disse: — Ti accompagno giù al tassì, ma lo sguardo di lei mi azzittì all'istante.
Così ci avviammo in corridoio tenendoci per mano ed entrammo in ascensore — cosa che mi fece salire il cuore in bocca perché non ero più abituato alle discese ad alta velocità — poi lasciai che lei mi guidasse nell'atrio verso un'uscita sul retro. In strada mi fece girare in fretta un angolo, si guardò attorno con misteriosa cautela e fermò un tassì. Io ero vestito per il clima caldo delle Filippine, mentre a New York eravamo in novembre, e anche May Sue non indossava molto. Disturbato dagli odori, dalla ressa dell'albergo e dai troppi rumori l'avevo lasciata parlare a ruota libera fino in strada, e in tono indifferente lei m'aveva informato che Tse-Ling Mei aveva avuto una parte importante in un film, che Maisie stava per sposarsi, che Ellamay aveva messo su un ospedale non so dove, nel Jersey o nell'Indiana, e che lei era tornata all'università per prendere la laurea in legge. Ma appena mi ebbe ficcato nel tassì mise dentro la testa per baciarmi un orecchio. E quello che mi diede non fu un bacio: sussurrò un indirizzo e un numero, quindi si volse e s'allontanò subito senza voltarsi indietro.
Ormai ero abbastanza insospettito per non fermarmi a quelle semplici precauzioni, cosicché un po' più avanti scesi dal tassì, camminai cinque minuti malgrado il freddo e ne presi un altro in una viuzza secondaria. Poco più tardi ero sul posto.
L'indirizzo corrispondeva a un alberghetto vecchio e scalcinato; il numero era quello di una camera da poco prezzo all'ultimo piano. Nel corridoio stagnava il puzzo della marijuana misto a quello di calzini sporchi e di sudore. Bussai, e la porta mi venne aperta da un individuo sulla quarantina, scalzo, con la camicia sbottonata e i pantaloni tirati su ma ancora mezzo aperti sul davanti. Malgrado ciò aveva un aspetto sobrio e posato, elegante, non il tipo d'uomo che uno si aspetterebbe di trovare in un pollaio frequentato dalle prostitute e dai loro clienti.
E dietro di lui, distesa su un letto sfatto e con indosso soltanto la sottoveste, c'era la mia May. Sul volto aveva un'espressione sbigottita e spaventata.
— Non è come puoi pensare, zio Jason — disse in fretta a me. E all'uomo: — Svelto! Fallo entrare e chiudi!
Lui non esitò un istante. Mi afferrò per un gomito, con forza sorprendente per la sua esile corporatura, e mi tirò in camera. Poi mise fuori la testa, controllò il corridoio e chiuse la porta. Si volse a osservarmi.
— Mi chiamo Jefferson Ormondo — disse. — Lavoro in banca, ramo investimenti. Spiacente che ci abbia trovati così, ma le finestre sono inchiodate e non è possibile spegnere questo maledetto impianto di riscaldamento. Ben Zoll ha orecchi dappertutto. Capisce? — Nel parlare si riabbottonava; sedette a infilarsi le scarpe e disse: — Scendo a dare un'occhiata nell'atrio per accertarmi che non sia stato seguito. May le spiegherà in che termini sta la situazione. — Uscì, lasciandomi in quella squallida stanza con la mia dolce May seduta sul letto, davanti a una situazione che parlava da sola.
— Stiamo cercando di eliminare il controllo di Ben sulle mie proprietà — mormorò lei, alzandosi.
— Questo non è possibile... — balbettai. Ma ciò che la mia faccia stava dicendo era: Questo non è bello da parte tua, May. Gettarti in un'impresa simile senza il mio aiuto! E fu alla mia faccia che lei rispose.
— Jason, caro, io non ho segreti per te. È una cosa che non posso fare senza di te.
— I migliori avvocati di Reykjavik mi hanno già detto che non c'è speranza — le riferii. — Il testamento di tuo padre è inattaccabile.
— Anche se fosse stato falsificato, Jason?
La fissai, esterrefatto.
— Falsificato — ripeté, annuendo. — Non completamente: soltanto le date. Mio padre aveva stabilito che la tutela finanziaria terminasse al mio ventesimo compleanno, ma Ben è riuscito a corrompere qualcuno e ha fatto aggiungere dieci anni alla scadenza.
Stava intavolando un argomento su cui non ero certo ansioso di rivelarle la mia esperienza. Non sapevo — e non seppi mai — se il commodoro le avesse parlato del favore che gli avevo fatto. Lei comunque non sfiorò quel tasto e proseguì: — Questa è una frode, Jason, è un reato per cui qualcuno dovrà essere condannato. Ma in quanto a provarlo... è molto difficile. Non ho mai potuto parlarne con te. Ben ha sempre piazzato microfoni dappertutto e ha i suoi agenti. Inoltre — disse, mettendomi una mano su un braccio, — sa che sei molto più esperto di me e ti ha fatto sorvegliare strettamente.
Borbottai: — Non devi giustificarti di niente con me, May. — Però le chiesi ugualmente spiegazioni. A quanto mi disse, quell'ometto smilzo e mezzo calvo, Ormondo, lavorava per la banca che amministrava e reinvestiva i capitali di Ben, e gli era parso che ci fosse qualcosa di strano nei suoi documenti. Per dirne una, il testamento avrebbe dovuto comparire registrato in più luoghi, non solo nella memoria del computer della banca. Ma la banca del commodoro era stata assorbita da un'altra, le cui registrazioni non erano più disponibili; inoltre l'archivio dov'era custodito il testamento originale era andato distrutto con la perdita di tutta la documentazione.
Ormondo era giunto a sospettare che dietro a questi fatti ci fosse un tentativo di truffa. Non aveva potuto provarlo, ma gli era venuta la curiosità d'indagare oltre e s'era accorto che le cose da scoprire non mancavano.
Ben stava mungendo ben bene la Flotta. Aveva costituito una sua corporazione, la quale acquistava l'idrogeno dalle isole galleggianti, e un'altra che rivendeva i prodotti ammoniacali sul continente, e una terza che affittava alla Flotta piloti e servizi esplorativi per la ricerca di acque fredde a minore profondità. Anche la Compagnia che ci metteva a disposizione aerei e idrovolanti era finita nelle sue mani. Tutto ciò che la Flotta acquistava veniva a costarle un po' di più; tutto ciò che vendeva le fruttava un po' di meno: la differenza scivolava in conti bancari intestati a Ben.
Con questi elementi Ormondo s'era recato a un party a cui era stata invitata May, le si era fatto presentare e le aveva sussurrato le sue conclusioni in un orecchio.
Da quel giorno, per quasi un anno, i due avevano cercato di mettere insieme una documentazione e interrogato gente che poteva conoscere certi retroscena. Qualche voce sulla loro attività doveva essere sicuramente giunta a Ben; ma Ormondo era un uomo prudente.
Erano riusciti a farsi un quadro quasi completo della faccenda.
— Il nostro prossimo passo, Jason — mi disse, — era quello di mettere al corrente te; stavo quasi per chiederti di venire con me. Sono contenta che tu abbia deciso di non aspettare che ti parlassimo.
— Naturalmente farò tutto quello che vorrai — la tranquillizzai.
Lei sorrise e mi accarezzò una spalla. — Ne ero certa, caro Jason. C'è anche un'altra cosa.
Mi accorsi che era imbarazzata. Si morse le belle labbra, esitò, e i suoi occhi indugiarono sulle scadenti stampe marinaresche appese alle pareti scrostate come se contemplasse l'oceano. Poi sospirò: — Ho bisogno di un marito, Jason.
Quella frase mi colse impreparato. — Un marito?
— Devo avere un uomo al mio fianco, per me stessa, e anche per sostenere questa battaglia che sarà dura. E soprattutto ho bisogno di un padre per Jimmy Rex. Lui ha diritto di avere un padre, Jason. Non un giovanotto sciocco, ma un uomo adulto, saggio, gentile e sensibile. Non m'importa che sia più vecchio di me; ciò che conta è che sia qualcuno di cui io possa fidarmi, e che possa amare con tutto il mio cuore.
Per anni e anni avevo sognato di sentirle dire quelle parole, e l'emozione mi mozzò il fiato. — Oh, mia cara, tu mi dai una grande gioia! — esclamai, prendendola dolcemente per le spalle... e confuso la vidi sbarrare gli occhi con espressione stupefatta.
La battaglia fu davvero molto dura. Per molti mesi tutti noi trascorremmo più tempo in Islanda che a casa nostra. Già in se stesso, questo fu un prezzo piuttosto alto per me. Comunque i tribunali che amministrano le Leggi del Mare si trovano in Islanda, e il fatto che sia un'isola piacevole e piena di piscine calde non fece che acutizzare in me la nostalgia per i ben più riposanti panorami dei mari del sud.
Ma vincemmo; non del tutto, però vincemmo. E Ben il Bastardo sarebbe potuto finire benissimo in prigione se la sua malattia non lo avesse condotto in ospedale. Per sua sfortuna non ne uscì vivo.
Così fu Betsy a dover sgombrare la residenza, e non suo padre, anche se non perse certo tutto. Provare che il testamento era stato falsificato ci fu impossibile. La lotta che facemmo nei tribunali fu lunga e senza esclusione di colpi e tre dei nostri testimoni scomparvero, tuttavia la documentazione delle compagnie create da Ben andò in mano al giudice. La tutela finanziaria venne annullata. Ogni contratto firmato da Ben fu invalidato. La Flotta venne divisa in due. Metà delle isole galleggianti andarono a Betsy; il resto, inclusa metà del capitale di Ben, a May. E Betsy cominciò a darsi da fare con ciò che le era rimasto... ma noi eravamo infine abbastanza soddisfatti. Tornammo a stabilire la residenza sulla prima vecchia isola galleggiante, la mettemmo in tranquilla navigazione nello Stretto di Malacca, e come Dio volle la figlia del commodoro tornò ad essere l'indiscussa regina delle isole vaganti. Tutti erano felici nel vederla di nuovo lì a bordo, con il suo bambino...
E con suo marito. Che non ero io.
La natura aveva fatto di May la più gentile delle fanciulle. Ma per quanto fosse comprensiva non dimenticò l'imbecillità di cui avevo dato prova fraintendendo le sue parole, quando aveva cercato di dirmi che desiderava sposare Jefferson Ormondo.
III
Per amore del figlio e reclamare il suo avere
a vent'anni e quattro volle ancora sposare.
E si batté e vinse per poter conservare
onesta la sua gente con i doni del mare.
Benedetto fu il riposo da lotte e da tormenti,
in quei brevi anni lieti sulle isole vaganti.
Benché l'avessi persa di nuovo fu un periodo felice. May era la serenità in persona. Jefferson Ormondo ebbe il buon senso di godersi quella tranquillità... be', che altro poteva fare? Perfino il piccolo Jimmy Rex era diventato più trattabile, lontano da Betsy e dai suoi tentativi di far emergere il lato peggiore del suo carattere.
Dopo un po' di tempo facemmo perfino una sorta di armistizio con la stessa Betsy: non che lo trovassimo piacevole e divertente. Comunque lei venne a farci visita mentre eravamo in sosta di lavoro nelle solite zone di mare più produttive, e poi non ci fu altro da fare che restituirle la visita sulla sua nuova grande ammiraglia. Ma se detestavo l'idea di rivedere Betsy, quel viaggio mi giunse gradito per altri versi. Il suo Comandante Operativo era un uomo come si deve — avevamo navigato insieme sotto il commodoro — e inoltre volevo dare un'occhiata ai loro impianti.
Quel che occorre ai radiatori per lo scambio di calore è un'acqua di superficie molto calda, possibilmente il primo metro d'acqua, che è quello a temperatura maggiore. Ma quando si pompano dentro cento tonnellate di liquido al secondo la tubature assorbono qualunque cosa vi sia attorno. Così, quando il comandante Havrila mi condusse sul ponte, sorridendo fieramente, sapevo già cosa voleva mostrarmi. Lo avevo visto dall'aria. L'isola galleggiante era circondata da una rete-filtro, disposta a trenta metri dallo scafo in ogni direzione. Nel notarne la presenza avevo capito che si erano ancorati su un bassofondo a forma di tazza, dai bordi rialzati. — State assorbendo acqua direttamente dalle aperture dello scafo, eh? — opinai, — e avete intrappolato l'acqua di superficie in un'infossatura. La rete vi serve per tenere fuori i pesci?
Lui sogghignò tristemente. — Sapevo che quando l'avessi vista non ci sarebbe stato bisogno di dirti una parola, Jason — annuì. — Pompiamo da una riserva profonda una decina di metri, ma l'acqua che vi affluisce dall'esterno è unicamente lo strato di superficie.
— Uno stratagemma intelligente — mi complimentai. — Ma questa rete non vi dimezza le possibilità di manovra?
— Diciamo pure che le annulla — confessò lietamente. — Ma non abbiamo bisogno di muoverci finché riusciamo a mandar giù le tubature per l'assorbimento dell'acqua fredda oltre il bordo di questo bassofondo. Il guaio è che in profondità non abbiamo la bassa temperatura che vorrei. — Poi chiese: — Dimmi, Jason, voi cosa usate contro le incrostazioni organiche?